Metti una notte a pesca sul prato del Te, i fly fishers mantovani tra sport e filosofia
Le canne sono quelle da pesca, il parco è a Palazzo Te, dove i fly fishers si ritrovano una sera a settimana per esercitarsi nei lanci, confrontarsi, cementare un sentimento che è già appartenenza
Igor Cipollina
MANTOVA. La battuta è fulminante, il sorriso istantaneo: «È un modo alternativo e salutare di farsi le canne al parco». La pratica in questione è elegante, sportiva, rispettosa dell’ambiente. «È uno stile di vita» azzarda Enzo Zampolli, bancario in pensione di 75 anni, il più anziano di un gruppo vivace, che abbraccia e amalgama età e mestieri. Le canne sono quelle da pesca, il parco è a Palazzo Te, dove i fly fishers si ritrovano una sera a settimana per esercitarsi nei lanci, confrontarsi, cementare un sentimento che è già appartenenza (ma senza fanatismi). No, quello del bancario in pensione non è un azzardo, la pesca a mosca è una filosofia: basta trascorrere un paio d’ore con l’allegra brigata per restarne ammaliati. Ed è capitato a tanti, incuriositi da questi pescatori da prato, attratti dai volteggi della lenza in un luogo anomalo, asciutto, che pure di sera conserva l’eco dei bambini, la traccia delle loro scorribande pomeridiane.
Una filosofia di vita, la fly fishing, perché incrocia lo studio delle acque e pure l’entomologia: si pescano trote in acque pregiate, pulite, impiegando esche artificiali, realizzate con peli, piume a altro materiale, a imitazione degli insetti in tutte le loro fasi di sviluppo. Ecco perché serve anche qualche nozione di entomologia. Altro aspetto fondamentale: la pesca a mosca è no kill, l’amo non ha l’ardiglione e le trote vengono liberate subito dopo la cattura. Gioco d’abilità, sfida, mimesi. Ancora meglio, come rivendica Francesco Bionda, consulente aziendale: «Non si pesca dalla sponda, ma dentro l’acqua, e questo cambio di prospettiva è prezioso». Utile pure a segnalare anomalie, guasti e sversamenti eventuali.
A raccontare della tecnica è Alberto Perazzi, pure lui consulente aziendale, tra i pochi istruttori riconosciuti al mondo, anche se, per pudore, non vorrebbe si scrivesse. È paziente, Perazzi, che spiega, mostra e coinvolge in qualche lancio anche il cronista. «Il movimento da imparare è innaturale, e questo all’inizio costituisce uno scoglio. È un po’ come il solfeggio per la musica». All’inizio la canna è come una mazza da golf, ma quando impari a governarla diventa una stecca da biliardo, che manda la palla dove si vuole. Ed è quasi commovente la maestria con cui Perazzi riesce a orientare il movimento della lenza.
La stessa passione limpida accende lo sguardo di tutti i soci del club Fly fishers Mantova, con sede a Pietole: il presidente Andrea Agosti, 45 anni, il suo vice Paolo Ariosi, 58, il veterano Mauro Trentini, 57, che tenne a battesimo il club 15 anni fa, e gli altri pescatori d’erba asciutta. Tutti a tirare di lenza sotto le luci artificiali puntate su Palazzo Te.
Già, ma perché proprio qui? Quando il lockdown ha chiuso le palestre, dove di solito il club tiene i suoi corsi, si è deciso di trovarsi all’aperto, in un posto che fosse comodo a tutti. E al parco di Palazzo Te ci si è affezionati, al punto da rinnovare l’appuntamento di settimana in settimana, anche tra i fly fishers esperti. E sarà così finché il clima non diventerà troppo rigido. Per la pesca in acqua, invece, ci si spinge lontano. Pure all’estero, come per l’ultima gita in Croazia.
I pesci vengono liberati subito dopo la cattura, ma ogni battuta finisce con le gambe sotto il tavolo. Vino? No, i pescatori a mosca vanno di birra. Il movimento è elegante, esteticamente plastico, ma loro non se la tirano affatto.
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