ALTO MANTOVANO. Gli allevatori avicoli tirano un primo sospiro di sollievo. L’ondata di influenza aviaria, un virus che colpisce gli uccelli selvatici, ma anche quelli d’allevamento, sembra avere sfogato la sua forza e dagli inizi dell’anno è in fase regressiva. Ma sul campo ha lasciato uno strascico di capi abbattuti e danni che dal 2017 non si vedevano. Nel giro di meno di due mesi sono morti o sono stati soppressi un milione e 653mila capi, mentre sono finite al macero 4 milioni di uova. Un danno pesantissimo per la filiera, che per ora viene stimato provvisoriamente in oltre 10 milioni. Ma è ancora presto per fare i conti definitivi e per cantare vittoria.
contagio d’oltralpe
Tutto inizia Oltralpe dove da mesi piccoli allevamenti vengono colpiti dall'influenza, un ceppo H5N1 fortemente virulento che in Francia, Germania e Olanda si fa fatica a tenere sotto controllo. L’Italia, che da anni ha investito sulla biosicurezza, trattiene il fiato perché i contagi, come insegna la pandemia del Covid, arrivano quando meno te l’aspetti e anche se si seguono scrupolosamente le regole. Così le prime avvisaglie fanno capolino quando le giornate diventano più fredde anche da noi. A fine settembre alcuni uccelli selvatici, che le Ats del territorio nazionale monitorano, portano i segni di una influenza molto simile a quella già riscontrata all’estero. E il 19 ottobre in un allevamento in provincia di Verona viene riscontrata la prima positività. Scattano le misure di confinamento, ma ormai è tardi. Nel giro di un mese in decine di allevamenti scoppiano epidemie e il contagio si diffonde anche nel Bresciano.mantova tra due fuochi
A Mantova, che sta in mezzo alle due province e nell’Alto Mantovano ha una forte concentrazione di allevamenti, corrono brividi sulla schiena. «I primi focolai nella nostra provincia sono nella seconda metà di novembre - spiega il dottor Vincenzo Traldi, direttore dell’area veterinaria dell’Ats -. Rispetto a precedenti epidemie, come quella del 2017 che si sviluppò in oltre sei mesi, qui la virulenza è più alta ed ha prodotto i contagi in meno di due mesi». I numeri parlano chiaro. Su circa 7,2 milioni di capi totali nella nostra provincia, ne sono stati abbattuti 1.65, quasi un quarto. «Da tempo le norme europee- precisa Traldi - prevedono che non si vaccini per favorire l’eradicazione, ma si agisca a monte con le regole di biosicurezza e a valle con gli abbattimenti». Si tratta della regola del “vuoto sanitario” che sopprimendo i capi infetti, ma anche quelli sani dello stesso allevamento, azzera le possibilità di contagio esterno. «Viene inoltre istituita una zona di protezione stretta di 3 chilometri attorno al focolaio, dove di fatto l’attività di allevamento viene congelata - prosegue Traldi - ed una più vasta di 10 chilometri dove è possibile macellare, ma non accasare, cioè riempire ancora l’allevamento con capi nuovi. Il divieto di accasamento è stato esteso poi di fatto a tutta la provincia».Regole che permarranno in vigore sino a fine mese e a metà febbraio, se non riprenderà l’incendio dei focolai.
i focolai
«Nella nostra provincia ci sono stati 27 focolai in 12 comuni. I primi sono partiti a confine con il Veronese, da dove è venuto il contagio» spiega Traldi. Al momento sono stati abbattuti 190.496 polli da carne, un milione e 44.150 galline ovaiole e 295.676 tacchini da carne, oltre ad una cinquantina di capi misti in un allevamento rurale. A questi vanno aggiunti i capi soppressi per “depopolare” cioè creare un vuoto sanitario più esteso, trattandosi di allevamenti molto vicini fra loro. Si tratta di 62.048 polli da carne e 27.416 tacchini. Il totale, ad ora, indica un peso vivo di 6.294 tonnellate di volatili. Il totale dei danni comprende anche circa 4 milioni di uova distrutte «perché anche allevamenti non direttamente toccati, non possono movimentare le uova che così, diventano commercialmente invendibili». Dal 4 gennaio non sono stati registrati nuovi casi. I danni, che sono stimati in oltre 10 milioni, saranno indennizzati col tempo dal servizio sanitario nazionale, ma restano esclusi i mancati guadagni, soprattutto di chi (la maggioranza) lavora con contratti a soccida, allevando per conto di grandi gruppi industriali.
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