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Mantova, Confindustria e Cgil: automotive a rischio se la svolta green è senza paracadute

Bianchi: «Così è inattuabile, pericolo di ricadute pesanti» Massari: «Mancano politiche industriali per la transizione»

Monica Viviani
2 minuti di lettura

MANTOVA. Il phase out, cioè l’eliminazione graduale dei motori a combustione interna dovrà avvenire entro il 2035 per le auto, mentre per i furgoni e i veicoli da trasporto commerciale leggeri entro il 2040. La decisione del Comitato interministeriale per la Transizione Ecologica è di dicembre e da allora imprese e sindacati sono in allarme per i pericoli di una decarbonizzazione senza interventi strutturali per salvaguardare il futuro produttivo e occupazionale di un comparto chiave. «A rischio ci sono 73mila posti di lavoro» hanno ribadito ieri 3 febbraio  Federmeccanica, Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm in un appello congiungo al governo per chiedere misure urgenti, investimenti e ammortizzatori sociali. Preoccupazione che accomuna Confindustria e Cgil anche nel Mantovano dove «si potrebbe arrivare a contare sino a 5mila addetti considerando tutte le piccole industrie o aziende artigiane dell’indotto» calcola il segretario generale della Fiom Marco Massari nel ricordare la recente tappa lombarda della campagna “Safety car'” promossa dal sindacato per lanciare proposte per il futuro del settore, da cui è emerso che l’impatto occupazionale potrebbe riguardare una filiera molto più ampia che si allarga a gomma-plastica, vetro, serrature, commercio, manutenzione. «Anche se nell’immediato – spiega Massari – la situazione nel Mantovano non è preoccupante visti gli ottimi risultati di Iveco e dell’indotto collegato, non possiamo stare tranquilli: il problema è che manca una politica industriale per accompagnare la transizione, a partire dal fatto che l’elettrico richiede meno manodopera e meno componenti dell’endotermico». A temere ricadute pesanti è poi Confindustria per la quale la transizione green voluta dalla Ue «così com’è stata concepita, è inattuabile – spiega il presidente Edgardo Bianchi – l’orizzonte di 10 anni, per un’azienda che deve affrontare una transizione tecnologica senza precedenti, è sostanzialmente impossibile allo stato odierno. Senza l’indicazione di un’alternativa, o quantomeno l’introduzione di un principio di gradualità, la strada tracciata dall’Ue comporterà il blocco degli investimenti nei motori a combustione oltre alla sostanziale chiusura del mercato con conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro. Solo in Italia si rischiano di bruciare oltre 70mila posti di lavoro entro il 2030, e anche sul nostro territorio avremmo ricadute molto pesanti nel settore della componentistica, visto la stima che prevede un 50% di chiusure. Ribadiamo che gli imprenditori sono favorevoli alla decarbonizzazione ma auspicano la neutralità tecnologica per poter esprimere al meglio le proprie competenze e soprattutto tempi di realizzazione del green deal europeo realistici, anche per colmare il gap delle competenze professionali». E come conferma Emanuele Zambello, componente della sezione officine meccaniche di Confindustria, nonché player del settore «non è solo una questione di tecnologie, ma anche di infrastrutture, costi e competenze. Basti pensare che ci vogliono anni di corsi specifici per formare un meccanico dedicato a una vettura elettrica, anche solo i dispositivi di protezione individuali devono essere adeguati per il rischio di folgorazione». Insomma «è prematuro parlare di vetture solo elettriche: si darebbe un vantaggio competitivo importante ai marchi premium stranieri, che sono più avanti di noi nella transizione».

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