Donna Letizia nell’agonia di un partito
Enrico GrazioliMancava giusto il caso Moratti nell’agonia post elettorale del Pd. Di un partito umiliato alle Politiche, che fatica a programmare un congresso per marzo (quando per la Lombardia si sarà già votato) però mantiene intatto con accanimento terapeutico l’intero gruppo dirigente.
Una polpetta velenosa, quella cucinata al volo da Calenda e (forse) Renzi. Due situazionisti, narcisi e vendicativi, che però un guizzo sanno averlo, come un vero obiettivo politico: completare la disarticolazione dell’area progressista per mettersi a capo delle sue spoglie (chi dei due, eventualmente, si vedrà...).
Le intenzioni di Moratti erano chiare da mesi. Poteva (o sperava di) essere la candidata del suo habitat naturale, ma alla Sorella d’Italia non conviene ora forzare l’attrito con Salvini, né ridare fiato e visibilità ai centristi della coalizione, tanto meno a un’altra primadonna. Quindi o al contempo lei ha guardato altrove: perché di fare il mediano di fatica per Fontana non aveva più alcuna voglia; e la si può capire: anche se non parliamo di Maradona, come può testimoniare la Milano così ben amministrata da lei che dopo serenamente vennero Pisapia e Sala. La sua inquietudine, però, regalava al Pd ciò che il Pd aspettava da lustri, incapace di crearne le condizioni: una crepa nel moloch post formigoniano. Forse un diverso sentire non solo nell’establishment, ma anche in una parte di elettori moderati con cui intavolare un discorso.
Prendere un’iniziativa politica o lasciare il mazzo in mano al Quarto Polo, gridando allo scandalo per il passato berlusca di Donna Letizia? Andare a vedere le carte o accettare ineluttabile l’idea dell’ennesima sconfitta identitaria, quindi autoconsolatoria, quindi una cosa molto di sinistra (a patto di trovare almeno un candidato che non si neghi, ma forse uno c’è...), ripetendo il mantra di trasporti e sanità che non funzionano, senza proporre un’ombra di progetto alternativo? Ma che domande...
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