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Camera di commercio a tre: anche il governo dice no a Pavia

Le categorie economiche sono contrarie alla fusione con Mantova e Cremona. Sulla sede legale nella città virgiliana si attende il responso del Consiglio di Stato

Sandro Mortari
2 minuti di lettura

Non esiste ancora un termine entro cui far partire la nuova Camera di commercio a tre tra Mantova, Pavia e Lodi, ma è lecito pensare che si aspetti la decisione del Consiglio di Stato sulla sede legale prima di far decollare l’ente più contestato degli ultimi anni. Il decreto legge del 2020 aveva stabilito che la sede del presidente e del consiglio della nuova camera a tre dovesse essere Mantova. Come extrema ratio, dopo aver perso l’autonomia, i pavesi si sono opposti al Tar del Lazio anche su questo punto, ma non sono riusciti a ottenere soddisfazione dai giudici amministrativi, ragion per cui hanno presentato ricorso al Consiglio di Stato. La sentenza era attesa per marzo, ma i giudici hanno deciso per un rinvio a fine aprile.

Siccome l’esito del ricorso non influirà sull’autonomia che rivendica Pavia rispetto a Mantova e a Cremona (la Corte Costituzionale si è già espressa per la nuova camera a tre), i pavesi cercano altre strade per smantellare il futuro ente, nonostante il governo insista ad applicare la riforma così come concepita all’inizio.

L’ultima chiusura all’autonomia per Pavia è stata qualche giorno fa a Roma, quando il sottosegretario leghista Bitonci ha esposto al commissario Merlino la posizione del ministero delle imprese e del made in Italy, guidato da D’Urso di Fratelli d’Italia, di non concedere deroghe. A nulla è valso ai pavesi insistere sul no all’accorpamento sia per motivi geografici di distanza con Cremona e con Mantova (non c’è nemmeno continuità territoriale tra le tre province perché in mezzo c’è Lodi, accorpata a Milano e Monza), sia per il diverso peso numerico delle loro imprese e anche per la differenza qualitativa del tessuto produttivo tra i tre territori. I pavesi paventano il rischio di essere sottorappresentati nella nuova camera a causa dell’accordo stretto tra Cremona e Mantova, sostengono, per spartirsi i posti in consiglio.

Mentre il governo la pensa in un modo, il governatore della Lombardia Fontana ha più volte sostenute le richieste di Pavia; per questo Merlino e le categorie economiche non smettono di guardare alla Regione, anche se non ha competenze dirette sulla fusione delle camera di commercio, per cercare di far cambiare idea a Roma. Contando, soprattutto, sulla sponda leghista.

L’ impresa, però, appare titanica visto che la riforma che porta da 105 a 60 le camere di commercio in Italia risale al 2016 e non può più essere rinviata, come sostiene il governo di centrodestra. I pavesi, tuttavia, non si arrendono e preannunciano battaglia. Scriveranno ancora al ministro D’Urso per fargli cambiare idea e chiederanno l’ennesimo incontro con i parlamentari del territorio.

Anche qualche categoria economica cremonese, di fronte alla pervicacia pavese di staccarsi, sembrerebbe storcere il naso sulla fusione a tre. Questo ha indotto il commissario straordinario della locale Camera di commercio, Giandomenico Auricchio, a convocarle per il 23 marzo prossimo per un incontro in cui fare il punto della situazione.  

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