«Mi picchiava e minacciava»: marito assolto dal tribunale di Mantova
L’accusa: maltrattava la moglie incinta. Il difensore: pochi episodi, normale lite tra coppie. La sentenza: il fatto non sussiste
R.BO
Il capo d’imputazione era da codice rosso: nove mesi di maltrattamenti, anche con percosse, nei confronti della moglie incinta. Con l’aggravante di aver commesso i fatti anche in presenza del figlio appena nato. Questa l’accusa rivolta a un 37enne residente in città che il 3 aprile è comparso in tribunale per rispondere di maltrattamenti e lesioni durante i ripetuti litigi con la moglie, nati a quanto risulta per il deteriorarsi del rapporto coniugale a causa della nascita del figlio. Nove mesi durante i quali, sempre secondo l’accusa, in alcune occasioni l’uomo avrebbe insultato e minacciato pesantemente la consorte impugnando anche un coltello.
Durante uno di questi diverbi, questo diceva il capo di imputazione, avrebbe aggredito la moglie sferrandole un calcio alla pancia e spingendola contro il muro. Ma l’imputato ha sempre detto di aver sbagliato mira: «Volevo colpire l’armadio e alla fine le ho chiesto scusa». La donna in quei mesi l’aveva anche accusato di averle procurato lesioni a un dito schiacciandoglielo sotto un piatto di porcellana e di aver minacciato il padre e il fratello. Una situazione che, sostiene l’accusa, aveva creato nella consorte un profondo stato di paura per la propria incolumità e per quella della figlia appena nata. Le denunce avevano seguito la strada più veloce, in quanto il reato era stato considerato da “codice rosso”.
Ieri in tribunale a Mantova la requisitoria del pubblico ministero è terminata con la richiesta di condanna a tre anni e tre mesi di reclusione. Il collegio giudicante dopo il ritiro in camera di consiglio ha emesso la sentenza: assolto perché il fatto non sussiste. Soddisfatto il difensore dell’imputato, l’avvocato Emanuele Luppi del Foro di Verona, che ora attenderà i canonici novanta giorni per leggere le motivazioni della sentenza. Durante l’arringa difensiva il legale ha sottolineato che i rapporti tra i coniugi si erano deteriorati anche in considerazione del fatto che il loro matrimonio era stato combinato dalle rispettive famiglie e i fatti contestati non si potevano ritenere abituali, ma frutto di diverbi saltuari e quindi non ascrivibili a un maltrattamento vero e proprio che per configurarsi deve essere reiterato. Per questo ha chiesto la concessione delle attenuanti generiche e il minimo della pena. Alla fine è arrivata l’assoluzione.
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