La sfida del vino senza solfiti: «Bastano i tannini naturali»
L’enologo mantovano Roberto Negri ha applicato la sua tecnica allo spumante rosè Menalca. Ora lo stesso metodo viene utilizzato per il Vigna Alta dell’azienda di Tano Martini
Luca Ghirardini
Vino senza solfiti? Si può. Parola di Roberto Negri. L’esperto enologo mantovano, produttore di vini con il suo marchio a Villanova Maiardina, ha messo a punto una sua tecnica per arrivare a questo risultato. «Non sto dicendo “senza solfiti aggiunti”, proprio senza» sottolinea.
Ma come è possibile eliminare ciò che serve a mantenere nel tempo le caratteristiche organolettiche del vino? L’enologo lo ha spiegato nel corso di una serata organizzata dall’enoteca Enoclub di via Roma al Cigno-Trattoria dei Martini.
Un luogo non certo scelto a caso: Negri, infatti, da anni cura la produzione dei vini dell’azienda agricola Martini e Pecorari di Pille di Monzambano, che i clienti del ristorante di piazza d’Arco nel tempo hanno imparato ad apprezzare. E ha coinvolto Gaetano Martini in questa avventura, applicando il suo metodo all’annata 2020 del “Vigna Alta”, il rosso di punta dell’azienda. Che, peraltro, anche nelle versioni degli anni precedenti aveva un contenuto di solfiti bassissimo.
In esordio di serata, però, Negri ha presentato un vino della sua azienda: il Menalca 2020, un metodo classico rosato da uve di Lambrusco Grappello Ruberti coltivate a Sabbioneta, ottenuto dopo 35 mesi passati sui lieviti. «Cosa ho utilizzato? Solamente uva, bucce, vinaccioli e lieviti – sottolinea –. La pianta può già darci tutto quello che ci serve. L’ho imparato leggendo i libri del botanico Stefano Mancuso, che ci spiega come da piante e fiori possiamo ottenere di tutto. Così io utilizzo i tannini dalla buccia e dai vinaccioli».
Menalca sta ottenendo un notevole successo soprattutto nel Nord Europa, dove la sensibilità verso i prodotti naturali è molto spiccata. Il prossimo passo sarà la produzione anche di uno spumante rosso, mentre al Ruberti si dovrebbe aggiungere anche il Salamino.
Ed eccoci al capitolo dei vini rossi. Il padre di Gaetano Martini acquistò le vigne in località Pille nel 1976 «ma al tempo – confessa “Tano” – il vino non era certo di alta qualità». Nel tempo, con l’aiuto di Negri, di Luciano Minotauri in vigna e in cantina e di Francesco Gussolotto, l’azienda si è trasformata. «È un’azienda modello – afferma Negri –, dove tutto è pulitissimo e curato maniacalmente, con i fili d’erba tutti della stessa lunghezza... Un paradiso».
I vitigni sono il Cabernet Sauvignon e il più ostico Merlot, pigiati separatamente, per poi prendere le decisioni sulla strategia da adottare. Ecco, allora, che il 2020, l’anno del “senza solfiti”, è il classico uvaggio bordolese, con il 50% di ciascuna delle due uve, senza ricorso al legno. L’uso dei tannini deve essere sapiente, per avere un gusto “gentile”. L’orizzonte temporale di questo vino, tuttavia, è necessariamente un po’ più limitato rispetto alle annate precedenti.
Come il Vigna Alta 2019, anch’esso taglio bordolese, maturato in barrique di 5 anni e tonneau. E il livello di solfiti è a quota 16, molto contenuto. Molto apprezzato anche il Vigna Alta 2018: questa volta siamo a un Cabernet Sauvignon in purezza, sempre con uso di barrique e tonneau. In conclusione, il Vigna Alta 2017: un Merlot in purezza che ha fatto solo acciaio e che ha mostrato una grande eleganza. L’ennesima dimostrazione della grande potenzialità dei vini dei nostri colli.
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