Che la percezione del corpo tatuato, soprattutto del corpo femminile tatuato, stesse cambiando l’ho capito quattro anni fa. Quel pomeriggio in cui ho telefonato a mia madre e lei ha risposto: «Possiamo sentirci più tardi? Mi sto facendo un tatuaggio».
Il mio silenzio. La sua precisazione: «Ma piccolo». Non sapevo se quel «Ma piccolo» dovesse tranquillizzarmi o spaventarmi. Lo stava forse dicendo per minimizzare un drago alato sulla schiena? Il logo di Chi l’ha visto?, enorme, sul cuore? Quella volta è andata bene: era diventata nonna da poco e si era fatta scrivere sul polso le minuscole iniziali dei componenti della nostra famiglia. In verità, credo, avrebbe tranquillamente impresso sulla pelle solo la R del nuovo nato, se non fosse stato per il timore che noialtri, poi, ci saremmo offesi. «Ho lasciato lo spazio quaggiù, guarda, per aggiungere i nipoti che arriveranno», mi ha spiegato quando ho visto l’opera. Perché una madre tatuata è pur sempre una madre: pragmatica, giusta, lungimirante.
Di fatto, anche Yuri Sata, uno dei quattro dello studio milanese Satatttvision, frequentato da artisti di tutto il mondo, si è trovato, di recente, a dover tatuare sua madre. Se è vero che non ha avvertito grandi scossoni rispetto al passato, sugli intenti per cui ci si tatua e su come i corpi tatuati vengano percepiti, di certo ha notato che la pratica si è ormai allargata a persone di età differenti. Madri e nonne incluse, appunto.
Sono chiaramente lontani i tempi del tatoo appannaggio dei detenuti; o quelli in cui i soldati si tatuavano per far sì che potessero essere identificati, in caso di morte. E ancor più remota è l’epoca in cui si fissavano sulla pelle immagini apotropaiche. La mummia della sacerdotessa Amunet, per esempio, vissuta a Tebe nel 2200 a.C. ha un tatuaggio sul ventre. Che gli studiosi hanno interpretato come auspicio di fertilità.
Le donne, insomma, si sono sempre tatuate. Ce lo conferma Cristiana Rivellino Santella, stylist e creative director, docente allo Ied, all’Accademia di moda e costume, nonché madre tatuatissima di una bambina di dodici anni: «Lo facevano soprattutto alcune tribù come Mohave o Maori, casomai con altri messaggi e propositi rispetto a ora». Ma oggi, perché ci si tatua? «Io ho iniziato a quindici anni, una tartaruga dietro al ginocchio. I miei non ne sapevano nulla, per mesi ho cercato di nasconderla, e ci sono riuscita perfino al mare. Il giorno in cui sono stata scoperta è stato quello in cui mia madre e mio padre hanno dichiarato guerra al tatuaggio, una sfida vera e propria: ogni disegno, scritta, simbolo che si aggiungeva alla mia collezione era, per loro, un modo di andargli contro; per me, invece, una splendida affermazione, un’estensione delle mie emozioni, un prolungamento di quello che avevo dentro. I miei tatuaggi sembra non raccontino nulla, sono una serie di scarabocchi, una Smemoranda liceale. Eppure mi coccolano nei momenti bui. Li guardo, mi ricordo di cose serene, e allora sorrido. Non ne ho mai cancellati e non mi sono mai pentita di averne fatto qualcuno». Rivellino Santella ha vestito, negli anni, Elisa, Francesca Michielin, Greta Ferro e tante altre. La prima donna che le viene in mente, però, fra quelle che hanno scelto di tatuarsi è Jane Moseley: «Le modelle, di solito, preferiscono non sporcarsi troppo il corpo. Lei invece ha uno stile tutto suo, deciso ed elegante. La adoro». E a proposito di moda, Yuri fa notare come una volta i tatuaggi venissero cancellati dalle copertine delle riviste a colpi di photoshop, mentre non succede più. Aggiunge Rivellino Santella: «Ormai nei rari casi in cui succede, è perché chi li ha non vuole che si vedano. Ci sono tantissime artiste che ormai tendono a nasconderli perché fanno parte di un passato evidentemente da dimenticare». Dunque, le donne si tatuano per esprimere ciò che sono, per appuntarsi un momento speciale sulla pelle, per avere addosso, semplicemente, qualcosa di bello.
Ma come si comportano con i difetti? Che ruolo hanno, per quelle che non amano certe parti del loro corpo, i tatuaggi?
Yuri racconta che è un ruolo sempre più importante. Possono coprire cicatrici, e trasformare i segni di un cancro in opere d’arte. Molti suoi colleghi si stanno specializzando in quel settore così delicato, tanto che anche la Lega Tumori è intervenuta sul tema per raccomandare di affidarsi a tatuatori specializzati e, soprattutto, di condividere la scelta con l’oncologo.
Il primo tatuaggio io l’ho fatto per amore. Amore finito, ovviamente, e per volere dell’altro. Anche il secondo, l’ho fatto per amore. Stesso copione, soggetto diverso. Due promemoria epidermici dei miei sbagli – oggi li chiamo sbagli – mi occupano da anni il polso sinistro. Me ne sono pentita? Sì. Perché trovo bellissime le iniziali sul braccio di mia madre, o i post it che Cristiana conserva sulla pelle, per i suoi momenti di fragilità. Bello, insomma, decidere di tenersi addosso le emozioni positive, le persone certe. Perché quando il dolore e l’amore passano, poi l’inchiostro resta.
Beauty

Beauty
World Tattoo Day: il significato dei segni sulla pelle delle donne
Il 21 marzo è il World Tattoo Day: una scrittrice riflette sul senso che questi segni hanno sulla pelle delle donne ripercorrendone la storia di ieri e di oggi
di Valentina Farinaccio, foto di Isabella Bejarano