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La regista americana Shaina Feinberg, autrice del corto A Brief Story of Hating My Face.
La regista americana Shaina Feinberg, autrice del corto A Brief Story of Hating My Face. 
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"Odio la mia faccia": Shaina Feinberg soffre di disturbo da dismorfismo corporeo, e dopo il coming out ci ha fatto un film

La regista ha raccontato in un film sincero la sindrome, sempre più diffusa, caratterizzata da una grave preoccupazione per una o più imperfezioni – anche minime – del proprio aspetto. Il suo consiglio? «Lasciate a casa lo specchio e uscite, immergetevi nel mondo»

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Con un corto rilanciato dal New York Times, la regista americana Shaina Feinberg ha svelato al mondo un segreto custodito per tutta la vita: l’odio per la sua faccia. In A Brief Story of Hating My Face, Feinberg ripercorre la sua lunga relazione con il disturbo da dismorfismo corporeo (Bdd), sindrome caratterizzata da una grave preoccupazione per una o più imperfezioni – anche minime – del proprio aspetto. «Ne soffro dalla preadolescenza, non riesco neanche a calcolare quanto tempo ho perso a sentirmi orribile», racconta la regista da New York. «Nei giorni peggiori, sembro un disco rotto». Quello che caratterizza la Bdd, infatti, è una componente di ossessività: «Per lungo tempo non ha avuto un’etichetta formale, ma adesso sappiamo che questa sindrome è parente del disturbo ossessivo compulsivo». 
Ironico e onesto, il film scava in profondità. «È molto difficile vivere quando si pensa solo al proprio aspetto e, in particolare, quando si odia quello che si vede». Come si naviga in questa situazione? «Io mi sono aggrappata all’ironia: dico sempre che somiglio a De Niro». 
La svolta, nella vita di Feinberg, è arrivata con un incontro inaspettato: «Quando ho conosciuto Nafé, co-protagonista del documentario, e siamo diventate amiche, le ho raccontato della mia ossessione e ho scoperto che anche lei ne soffriva». Da qui l’idea di andare alla radice del disprezzo verso di sé: «Ho seguito gli indizi e ho realizzato che entrambe abbiamo ereditato dai nostri padri tratti somatici etnici, mentre le nostre madri, bionde e con gli occhi azzurri, ci rimandano l’ideale di bellezza dominante che, per noi, è inarrivabile. Per tutta la vita ho sentito parlare di una bellezza classica, ma è un’idea assurda, perché ce ne sono tipologie infinite». Tanto più in questo mondo sempre più interconnesso e globalizzato che mixa i canoni estetici. «Se ne parla ancora poco, ma è una visione razzista della bellezza: segna chi è dentro e chi è fuori». Tra gli esempi delle implicazioni politiche e sociali di questa visione, Feinberg cita Michelle Obama che, durante gli anni da first lady, non si è mai mostrata con i capelli naturali, come invece ha fatto recentemente in occasione del lancio del suo nuovo libro, La luce che è in noi (Garzanti). 
«La forza della Bdd è che prospera nel silenzio. Fare coming out mi ha alleggerito di un peso. Non ho smesso di soffrire per il mio aspetto, ma mi sono liberata della segretezza e del senso di vergogna che il silenzio porta con sé». Alle donne che ne soffrono, Feinberg dice: «Lasciate a casa lo specchio, uscite, immergetevi nel mondo, parlate con le altre persone. Esercitarvi a vedere le molteplici forme della bellezza attorno a voi vi aiuterà a cogliere e apprezzare gli aspetti unici della vostra».