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Foto Patricia Rodas
Foto Patricia Rodas 

Violenza di genere: vogliamo chiarezza sui numeri

Violenza fisica, sessuale, psicologica, economica: c’è Giusy Muratore dietro ogni rilevazione. La responsabile Istat del gruppo di lavoro sulla violenza di genere ci spiega evidenze e lacune dei dati ufficiali

3 minuti di lettura

Si può parlare di violenza sulle donne partendo dai numeri, ma conviene farlo con chi sa da dove nascono, cosa raccontano e, soprattutto, cosa non dicono. «Ne abbiamo pochi, sono vecchi e siamo costretti ad arrabattarci». Maria Giuseppina (Giusy) Muratore dal 2016 è responsabile Istat del gruppo di lavoro sulla violenza di genere ma se ne occupa da quando, quasi trent’anni fa, entrò con una borsa di studio dopo un dottorato. Sua madre, nata nel ’22, ha sempre lavorato, negli anni Cinquanta non sentì ragioni e volle andare a studiare a Parigi. Così pensi che lei deve aver ereditato quella stessa caparbietà, mentre la senti giurare – nel suo ufficio nella sede di Roma nord – di non aver mai patito discriminazioni sul lavoro. Non una volta che si sia dovuta arrendere davanti a prevaricazioni e pregiudizi, in famiglia o nelle relazioni, una vita immune dal patriarcato. «Oggi però ho imparato che alcuni approcci, i baci di certi “amici”, erano una forma di molestia. Un dato mi sconvolge sempre: il 70% degli stupri è commesso dal partner. Vuol dire che la violenza grave è quella più vicina, si consuma in casa. Crediamo che tutte le donne siano capaci di riconoscere gli abusi, non è così». 
Violenza fisica, sessuale, psicologica, economica: c’è Giusy dietro ogni rilevazione. È la referente del Dipartimento per le Pari Opportunità e fa parte delle task force internazionali di Nazioni Unite e Ue. 
«Ricordo quando ho cominciato. Andai da Linda Laura Sabbadini, la nostra pioniera, per il focus sulle donne all’interno dell’indagine sulla sicurezza dei cittadini, sfociata nella ricerca del ’97. Le dissi: “Ma le molestie sessuali ce le vogliamo mettere?”. Vinto lo scetticismo iniziale, abbiamo rivoluzionato le metodologie della ricerca con le interviste telefoniche sperimentate in quell’occasione, e i focus group per mettere a punto i questionari. Mai fatto prima. Oggi selezioniamo le intervistatrici, siamo minimo in tre, le formiamo, le scartiamo se fiutiamo convinzioni stereotipate, facciamo leggere loro il monologo sullo stupro di Franca Rame». 

Le immagini del servizio sono tratte dai progetti Fallen Grace I & II della fotografa Patricia Rodas, classe 1972, che vive e lavora in Finlandia. patriciarodas.com.
Le immagini del servizio sono tratte dai progetti Fallen Grace I & II della fotografa Patricia Rodas, classe 1972, che vive e lavora in Finlandia. patriciarodas.com. 

Ascoltandola si percepisce l’emozione e si capisce la passione che muove i numeri. Muratore ne studia tanti e tanti ne produce. Compreso quel quasi 7 milioni di donne vittime di violenza fisica o sessuale in Italia, che è il dato forse più citato delle cronache. Il rapporto è del 2014. La ricerca doveva essere ripetuta nel 2018, ma dopo vari problemi burocratici è rimasta bloccata al Consip da un ricorso al Tar. Niente di nuovo per il nostro Paese, verrebbe da dire, se non fosse che 
l’Italia ha appena compiuto un passo fondamentale nella battaglia per i diritti e la protezione delle donne. Ha infatti recepito una direttiva europea approvando la legge “Disposizioni in materia di statistiche in tema di violenza di genere”, la n.53 dello scorso maggio. «Finalmente» 
e qui la ricercatrice alza gli occhi, «i ministeri di Salute, Giustizia e Interni sono obbligati a rilevare e fornire dati parlanti, con la relazione vittima-autore. Lo chiedevamo dal 2013». Un solo indicatore: il tipo di relazione (estraneo/a, conoscente, compagno/a, coniuge, fratello/sorella, familiari tutti), indispensabile a illuminare la violenza nascosta e rispondere alla domanda: “Chi ti ha fatto questo?”. 

Foto Patricia Rodas
Foto Patricia Rodas 

Prendiamo i dati sulle denunce in Italia. Il database dei reati risponde a voci generiche, codici assegnati. Mio marito mi ha rotto lo specchietto? Danneggiamento, art. 635 del codice penale. Le lesioni, le ferite, riguardano uomini e donne, indistintamente. Le cose cambiano però se a spaccarti la faccia è stato il tuo ex. Prendiamo poi la voce “stalking”: anche la lite condominiale è stalking, ma non è violenza di genere. Finisce che alcuni reati sono sovrastimati, il resto non esiste. Un sommerso irraggiungibile. Le donne oppresse subiscono minacce, violenze private, estorsioni: non sono tra i reati spia del ministero dell’Interno, restano invisibili. La sfida prevede un processo di innovazione e digitalizzazione che costringerà anche il più sperduto dei commissariati a produrre dati omogenei per archivi intelligenti, il sogno di ogni analista. Buone informazioni per attuare politiche efficaci, si spera. 
Ed è alla politica, e alla stampa, che Muratore guarda, attenta a diffidare di tutto ciò che è “pericoloso dal punto di vista scientifico”. «L’Italia è uno dei Paesi con i tassi di femminicidio più bassi, però mentre gli omicidi generici scendono gli altri sono atrocemente stabili. Non è un’emergenza, ma è un’urgenza. E usare termini allarmistici è sbagliato. Dobbiamo sapere, conoscere, capire. In America latina ci sono commissioni che lavorano più di un anno per stabilire la natura dell’uccisione di una donna. E nella comunità scientifica esistono dei framework per ricavare gli indicatori utili: se c’è o meno violenza sessuale; accanimento e ferocia, fatto raro negli omicidi di uomini, una costante con le donne; questioni inerenti all’intersezionalità; il ventaglio dei moventi. Sono un’ottantina o forse più: noi abbiamo queste informazioni? No». Per esempio la responsabile del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria non può sapere quanti detenuti siano stati condannati per reati di genere, una mancanza che la studiosa sottolinea mentre cerca tabelle nei suoi faldoni e una giovane collaboratrice passa per invitarla a pranzo. «Ci siamo inventate noi un modo per trovarli, analizzando quelli che abbiamo chiamato “contesti relazionali violenti”». 
Ora però le nuove norme genereranno flussi inediti di dati e starà agli occhi di chi guarda capire cosa andare a cercare. «In verità, tanto è stato fatto, una su tutte la formazione del personale dei pronto soccorso: in questi anni non è cresciuta la violenza, è aumentato il riconoscimento della violenza». Che piega le donne e pesa, tanto. Presto qui all’Istat ripartiranno con le rilevazioni, con un nuovo modulo sulla cyberviolence. «Stiamo cominciando a stimare i costi sociali di tutto questo: spese mediche, ricoveri, giorni di assenza dal lavoro dovuti a maltrattamenti, cause di divorzio, cure psicologiche». Che numeri sono? Fanno paura anche quelli.