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Parole ed emozioni, ecco la grammatica del cancro

Quali sono le parole per comunicare che il cancro è stato sconfitto? Quelle che ogni paziente vorrebbe sentirsi dire e quelle che si riescono a pronunciare nel tumulto di sensazioni che assale chi vive l’esperienza di una malattia così grave. Marco Dell’Acqua, che ha dovuto affrontare il mieloma, ci spiega la sua ‘grammatica del cancro’

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Capita anche nelle storie iniziate male, quelle che non lasciano sperare nulla di buono. Eppure, per fortuna, anche quando si tratta di cancro il lieto fine inizia ad essere più frequente che in passato. In effetti, le statistiche ci dicono che il cancro è sempre più una malattia da cui si riesce a guarire. Secondo gli ultimi dati dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica, oggi in Italia il 63% delle donne e il 54% degli uomini colpiti dal cancro sconfiggono la malattia. Ne sa qualcosa Marco Dell’Acqua che ha dovuto affrontare il mieloma, malattia per cui è stato curato con un trapianto oltre 10 anni fa. A lui che ha avuto la fortuna di vivere l’esperienza della guarigione abbiamo chiesto di spiegarci la ‘grammatica’ del cancro e i modi per dire che tutto è andato bene.
 
Poche parole, tanta emozione. Marco si è ammalato quando aveva 38 anni. Ha ricevuto un trapianto di cellule staminali emopoietiche da donatore non consanguineo ed ormai da tredici anni sta bene. Con qualche alto e basso, controllo dopo controllo, può dire a tutti i suoi cari che va tutto bene. Perché, in fondo, non servono tante parole. “La grammatica del cancro è essenziale, fatta di pochi vocaboli, di tanta forza, di tanto sentimento, di tanta fortuna, di tanta ricerca e di tanto lavoro” racconta Marco anche attraverso il suo blog ‘Unità trapianto midollo osseo tribute’  e la pagina Facebook dove parla del suo rapporto con la malattia. Ora Marco sta bene ed è in remissione totale. Ha 51 anni, una moglie che le è stato sempre vicino ed un figlio di 12 anni nato mentre si sottoponeva alla chemioterapia: “Per me è stato un dono enorme soprattutto perché ci avevano detto che la chemioterapia mi avrebbe reso sterile e perciò prima di sottopormi alla cura mia moglie ed io abbiamo provato a concepire e ci è andata bene” racconta con la gioia negli occhi. 
  I numeri e la fortuna. Quando ricevono la diagnosi spesso i pazienti sono investiti dai numeri: dalle percentuali di probabilità, di sopravvivenza, dai valori degli esami, dai giorni di attesa per un esame, ai cicli dei farmaci. “Sono questi numeri, generati scientificamente, a svelarci le cose, anche quelle brutte. I numeri ci dicono se siamo più o meno fortunati” racconta Marco. “La fortuna c'entra anche con gli altri fattori, ad esempio, nel mio caso ho avuto la fortuna di trovare la cura nella mia città: Milano. Di aver trovato un luogo di cura e dei medici incredibili, di aver avuto i farmaci innovativi appena sono stati disponibili, di aver trovato un donatore compatibile, di aver tollerato bene tutte le terapie. I ricercatori lavorano affinché il peso della fortuna venga ridotto o cancellato; in modo che tutti possano avere la stessa qualità delle cure, e che i numeri contino solo dove serve”.
 
Prima dei controlli. Marco appartiene alla categoria di coloro che ce l’hanno fatta. Eppure anche per lui parlare del cancro è difficile e faticoso. Lui sa bene che passato un controllo, ce ne sarà sempre un altro. “Il cancro spesso rimane nell'aria come la puzza delle cucine dei ristoranti che risalgono le cappe fumarie e ti arrivano in casa. E cambiare aria è difficile, ma ci si può riuscire. E ci si riuscirà sempre di più”. I pazienti oncologici, anche quelli per i quali si intravede il lieto fine, sono abituati ai controlli ma non sono ancora abituati a sentirsi dire che va tutto bene. “Nelle settimane precedenti l'incontro con il medico si vive in un'apnea costante a bassa intensità. La grammatica del cancro, ognuno dalla sua parte della scrivania, la conosciamo entrambi benissimo. Lui sa rassicurarmi e tranquillizzarmi, certo con gli esami che vanno bene è facile. Ma era lo stesso anche quando non andavano bene. Per parte mia cerco di fare sempre domande su come sto, su come vanno le nuove terapie, che per il mieloma migliorano in continuazione. Mi piace informarmi, capire cosa mi è successo e come si affronta oggi, dopo 13 anni, questa malattia bastarda perché asintomatica”.
 
La paura della parola ‘cancro’. Eppure anche quando ti va bene, temi che la volta dopo qualcosa possa andare storto. “Il senso di pace che si prova dopo un controllo andato bene è meraviglioso, tuttavia ci sono delle implicazioni psicologiche legate all'ansia, alla paura che possa non essere vero” racconta Marco. “Il timore che il prossimo giro possa essere più complicato non ti molla mai. Quella del cancro è una grammatica senza sfumature”. Ed è forse per questo che pronunciare la parola ‘cancro’ o ‘tumore’ mette sempre un po’ d’angoscia, incute timore o al contrario viene usata con superficialità per fini poco nobili. “Il tumore non è un concetto, è un male che ti mangia la vita. L’uso disinvolto della parola, fuori contesto, finisce per banalizzarlo mentre, invece, ogni giorno c’è chi lotta per sconfiggerlo, per curarlo, per rendere la vita meno dolorosa e darle più dignità. La parola cancro va utilizzata senza timore per chiamare le cose con il proprio nome e non, disinvoltamente, per indicare altro. Questa è una conquista, non c’è più bisogno di parlare di brutto male o di male incurabile” fa notare Marco. “I politici invece buttano un cancro qua una metastasi là mentre parlano nei talk show o durante i loro discorsi, senza rendersi conto di quanto male fanno, parlando di cose che non hanno provato”.