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Tumore al seno e lavoro. Le storie di Nancy, Silvia, Chiara e Roberta

Tumore al seno e lavoro. Le storie di Nancy, Silvia, Chiara e Roberta
Nella newsletter di Salute Seno raccontiamo le vicende di 4 donne la cui vita professionale è profondamente cambiata dopo la diagnosi. Storie comuni a molte pazienti, che spesso devono rinunciare alla propria carriera
6 minuti di lettura

Parliamo di tumore al seno e lavoro nella newsletter Salute Seno di questa settimana (qui il link per iscriversi gratuitamente). Lo facciamo attraverso la storia di Silvia, che aveva un ruolo da responsabile commerciale in un'azienda. Di Nancy, che era arrivata molti anni prima dall'Argentina insieme al marito e che con a lui si occupava delle pulizie di un condominio. Di Chiara, che era consulente finanziaria con partita Iva. E di Roberta, che era impiegata agricola. 

Per tutte loro il tumore al seno ha avuto un impatto fortissimo sulla vita professionale e sulla possibilità stessa di continuare a lavorare. Un impatto che non si deve - almeno non solo - alla malattia in sé, quanto alla percezione del cancro e all'incapacità di una parte del mondo del lavoro di integrare chi ha avuto il tumore o è costretto a conviverci. Non scenderemo in analisi complesse delle diverse realtà, di norme e di cavilli. Quelle che vogliamo raccontare sono "solo" storie: esperienze che non hanno alcuna pretesa di valere per tutti o di essere rappresentative di una situazione generale, per quanto comune a molte. Ma sono uno spaccato di vite, sentimenti, riflessioni. 

Nancy, che aveva perso il lavoro

Nancy ha 61 anni ed è una frontaliera. Dal lunedì al sabato parte da Bordighera e attraversa il confine con la Francia. Si occupa della gestione di una villa e non ha mai smesso di lavorare durante la pandemia, tranne che nei pochi mesi di chiusura delle frontiere. Fino al 2012 aveva un altro lavoro: con il marito si occupava delle pulizie in un palazzo e, su chiamata, lavorava anche in alcuni alberghi. 

Finché non arrivò la diagnosi. "Quando il medico mi ha detto che avevo un tumore al seno, ho pensato a un errore, che si trattasse di qualcun altro - racconta - Io stavo bene, non poteva parlare di me. Ma poi mio marito, che mi era accanto come lo è stato sempre, ha cominciato a piangere e tutto è diventato reale. C'era tanto da capire e molto in fretta. Mi sono resa conto solo dopo della gravità di quello che stava accadendo: il colpo è stato durissimo, come il percorso. La gente non ha davvero un'idea di cosa significhi, a meno che non ci sia passata".

Ad aiutare Nancy sono state le volontarie del Gruppo "La Rinascita" - Lilt Sezione di Imperia-Sanremo: "Ho conosciuto persone eccezionali che mi hanno accompagnato, letteralmente per mano, in questo percorso. E anche oltre. È grazie ad una di loro se dopo il tumore io e mio marito abbiamo trovato di nuovo un lavoro". Dopo l'intervento infatti - continua a raccontare Nancy - non è stato più possibile fare le pulizie per il condominio: "Era un lavoro troppo pesante - mi hanno detto - per una donna che aveva avuto il cancro".

Seguì un periodo di forte depressione finché non arrivò l'opportunità del nuovo impiego nella villa in Francia. Erano richiesti una serie di esami per il contratto e così, di nuovo per caso, Nancy aveva scoperto di avere un altro tumore, questa volta alla tiroide. La reazione della proprietaria della villa, però, fu diversa: "Anche lei aveva avuto un tumore al seno e credo che abbia capito quello che stavo vivendo. C'è stata quella umanità e comprensione che non avevo trovato prima. Da allora sono passati 9 anni e mi sento molto fortunata se penso agli oltre cento curriculum che avevo inviato in Italia, senza avere mai ricevuto nessuna risposta".

Chiara, che ha rinunciato alla partita Iva

Il primo tumore al seno lo aveva avuto a soli 31 anni. Da quando si era laureata aveva aperto la partita Iva: lavorava come consulente finanziaria e aveva continuato anche dopo la diagnosi. "Dopo l'intervento non c'era stato bisogno della chemioterapia, quindi sono stata solo un mesetto a casa. Ero giovane e avevo tutte le energie", dice sorridendo. A 34 anni, però, gli esami avevano rivelato che la malattia non si era arrestata: era diventata metastatica, arrivando a colpire anche il cervello. A quel punto le terapie si erano fatte più aggressive: chemio, radioterapia, gamma knife... "Lavoravo ancora - racconta - ma erano più i giorni che non riuscivo a uscire di casa che quelli in cui potevo essere operativa. Alla fine ho capito che non sarei più potuta essere una lavoratrice autonoma". Chiara ha passato due anni in stand by - tra le cure continue, gli esami e un figlio piccolo - percependo due assegni dell'Inps: uno per incapacità lavorativa, l'altro per invalidità civile. "Le cure, però, stavano riuscendo a tenere la malattia sotto controllo, mio figlio stava crescendo e io volevo tornare a sentirmi una lavoratrice. Così ho cominciato a lavorare come collaboratrice nell'azienda di famiglia: una sorta di 'dipendente' di mia mamma. Non si ha un vero e proprio contratto - spiega Chiara - ed è ancora meno tutelato di un lavoro autonomo: niente 104 e niente malattia o ferie". Poi è arrivato il Covid e la situazione è precipitata, perché quello che svolgeva Chiara non è un lavoro che si può fare a distanza. "Non solo non percepivo lo stipendio, ma mi è stata ridotta l'invalidità civile - che in teoria non era soggetta a revisione - dal 100% all'85%, e quindi mi è stato tolto l'assegno di invalidità civile. È stato un periodo molto difficile e sono passati diversi mesi prima di poterlo ottenere di nuovo, grazie alla richiesta di aggravamento che mi ha consigliato di fare un medico legale".

Intanto Chiara aveva capito che era arrivato di nuovo il momento di voltare pagina e di cercare qualcosa di più adatto, che le permettesse di lavorare da casa. È andata ad un ufficio di collocamento, si è iscritta alla lista delle categorie protette, ha fatto un colloquio. Dopo pochi mesi è arrivato il primo lavoro, come impiegata amministrativa per back office: un contratto a tempo determinato di sei mesi, da rinnovare. Ora, però, è di nuovo in attesa di sapere cosa ne sarà del suo futuro: il lavoro si è ridotto ed è possibile che il contratto non venga rinnovato. "Mi rimetto in movimento, contatterò di nuovo l'agenzia e ho già mandato i cv alle aziende vicino casa. Sono ottimista per natura, anche se non è sempre facile. Ma per me lavorare non è solo una questione economica: sono diventata metastatica a 34 anni e ora ne ho 41, mi sono sempre impegnata nello studio e nella vita, e lavorare mi fa sentire una persona normale, inserita in un contesto sociale. Per noi pazienti lo smart working potrebbe offrire una soluzione ideale. Penso a me, al fatto che spesso ho problemi gastrointestinali legati alle terapie che assumo: poter svolgere un lavoro da casa in questo periodo mi ha dato molta tranquillità. Sarà una frase già sentita, ma è vero che si può essere anche più produttivi. Mi accorgo però che a volte mancano delle condizioni basilari e che i diritti non sempre sono rispettati. È tutto sempre molto faticoso".

Silvia, che era stata demansionata

Rinunciare ai permessi di malattia, fissare la radioterapia alle 8 di sera per non saltare riunioni e dopo 10 ore di ufficio, assentarsi solo 3 giorni per ogni ciclo di chemio. A Silvia piaceva il suo lavoro e lo faceva con abnegazione, anche dopo la diagnosi di tumore al seno, arrivata quando aveva 45 anni. "Non ho mai preso tutti i giorni di prognosi che mi venivano dati in ospedale, ed ero sempre reperibile, ma non è bastato", dice: "Dopo un anno e mezzo fui chiamata dalla mia responsabile. Mi disse che a causa delle mie assenze non potevo dare continuità al lavoro, e che non erano stati raggiunti i risultati aziendali. Mi hanno aumentato lo stipendio di 5 mila euro lordi e mi hanno spostato in un'altra sede, per avvicinarmi a casa, hanno detto. Peccato che a quella nuova scrivania non avessi quasi nulla da fare se non per pochi giorni al mese. Non era il mio lavoro e neanche un incarico prestabilito. Ho resistito in questa situazione sei anni, finché non è arrivato un tumore alla tiroide e, pochi mesi dopo, mi hanno trovato le prime metastasi ossee del tumore al seno". 

A quel punto Silvia decise che non avrebbe più sopportato quella situazione, anche se avrebbe potuto benissimo continuare a lavorare e se questo avrebbe comportato una grossa perdita in termini economici. A 53 anni era già pensionata. "Ero arrivata al punto - racconta - che preferivo andare a fare la tac piuttosto che in ufficio. Non avevo nulla in mano per fare una denuncia per mobbing e in ogni caso volevo andare oltre, lasciarmi tutto alle spalle. Mi capita ancora di avere degli incubi: quello che ho vissuto mi ha segnato, se possibile, più della malattia".  

Ora la sua vita è completamente diversa. "Ho il mio cane grazie al quale ho incontrato l'uomo che è poi diventato mio marito, e non saprei più immaginarmi 10 ore al giorno in ufficio. Dopo la prima diagnosi, avere un lavoro mi aveva dato un forte sostegno psicologico, mi ci sono aggrappata e forse anche per questo ho sofferto molto quando mi è stato detto che non servivo più. A me sembrava di fare bene, di svolgerlo in modo adeguato. Ora come ora, però, il lavoro non mi manca e di certo non mi annoio".

Roberta, che era "troppo vecchia" per un nuovo lavoro

"L'impatto sul lavoro il tumore ce lo ha avuto, eccome", dice subito Roberta, che oggi ha 58 anni e che ne aveva 52 quando si è ammalata: "Quando rimani a casa per questo tipo di malattie, di solito poi ci resti per sempre". 

Lei era impiegata agricola: ovviamente non aveva preso bene la notizia, ma in quel momento era più importante pensare a curarsi. Una volta finite le terapie, ha cominciato a cercare tramite gli uffici di collocamento e si è iscritta alle categorie protette, usufruendo della legge 68. "Ad uno degli incontri per un possibile lavoro ricordo che mi fecero pesare il fatto che fossi vecchia e che fossi stata malata. Risposi a tono che la mia anagrafica l'avevano già avuta prima di chiamarmi e che, visto che mi avevano convocato tramite la legge 68, avrebbero dovuto anche aspettarsi una persona con malattie o problemi". 

Cercava un lavoro stabile, Roberta, ma intanto non stava ferma e faceva tutto quello che capitava. Voleva lavorare non perché le mancasse qualcosa, ma perché voleva tornare ad essere inserita nella vita 'normale'. "Ho sempre lavorato e sentivo il bisogno di continuare a farlo".

Alla fine Roberta ci è riuscita tramite il passaparola di un'amica. Ha fatto colloqui e selezioni ed oggi lavora come segretaria per una fondazione. "Ho incontrato persone che hanno valutato la mia età un pregio e non hanno considerato il fatto che fossi stata una paziente oncologica come un problema. Non è stato semplice - conclude - ma alla fine è andata bene".