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Remind(h)er, la storia di Federica: "Così l'Alzheimer è entrato nella nostra famiglia"

Remind(h)er, la storia di Federica: "Così l'Alzheimer è entrato nella nostra famiglia"
Nel podcast Remind(h)er Federica Marino racconta in prima persona l'evoluzione del rapporto con il padre colpito da una malattia neurodegenerativa. Dando voce a tutte le persone che come lei si prendono cura di chi smarrisce la memoria. L'intervista
3 minuti di lettura

Un padre, una figlia e un terzo incomodo: l'Alzheimer. Si chiama Remind(h)er il podcast di Federica Marino, 34 anni, speaker e collaboratrice di OnePodcast. Racconta, con delicatezza e profondità, l'arrivo inaspettato di una malattia neurodegenerativa all'interno della sua famiglia, di come abbia portato a scardinare e poi reinventare i rapporti tra i componenti, di come li abbia spinti ad esplorare parti di loro che non conoscevano. Soprattutto di cosa questo viaggio doloroso ma essenziale le abbia insegnato, qualcosa che ora desidera condividere con chi vive situazioni analoghe.

Un diario intimo e al tempo stesso universale, che parla di chi smarrisce la memoria e anche di chi se ne prende cura. Un esercito silenzioso che si muove intorno a chi viene diagnosticata la demenza, oggi in Italia oltre 1 milione e 480 mila di persone.

Cosa cambia nella mente e nella vita di una persona quando scopre che un familiare ha una malattia neurodegenerativa. Cosa è successo nella vostra famiglia?

"All'inizio mia madre, mio fratello e io eravamo molto spaventati. Speravamo quasi che la diagnosi non fosse esatta. Quasi come ci fosse la volontà di sminuire il problema. Mio padre è stato da sempre molto amato. Persona dinamica, viaggiava, parlava tre lingue. I primi segnali sono arrivati dieci anni fa, aveva poco più di 60 anni. Guidava ma dimenticava come si metteva la freccia. Usciva in macchina e tornava a piedi. Rispondeva in inglese. Gli sfuggivano le parole. C'era una sorta di negazione in lui. Di fronte alle dimenticanze tergiversava sperando che nessuno se ne accorgesse. Un senso di dignità lo portava a reprimere i vuoti di memoria. In quella fase cercavo di ridimensionare il problema, non volevo che lo vivesse come un fallimento.

Sono seguiti i primi accertamenti, gli hanno diagnosticato una demenza senile con la sintomatologia dell'Alzheimer. Quando ha capito che la memoria si stava sgretolando si è come destabilizzato. Ho percepito in quel momento la sua fragilità e vulnerabilità.

È stata una situazione complicata da gestire emotivamente. Ho sempre visto i miei come invincibili. Invece ho capito che mio padre era frangibile e poteva rompersi. Si sono invertiti i ruoli, con mio fratello dovevamo prenderci cura anche di nostra madre, dedicata a mio padre, in quella che lei stessa ha definito una 'prigione dorata'."


Dalla sua esperienza cosa le sembra sia utile fare per aiutare una persona cara che si ammala?

"Serve assenza di giudizio. Nel bene e nel male. Le dimenticanze non sono attribuibili ad una volontà. Bisogna provare ad ascoltarsi a vicenda: i silenzi non sono la chiave giusta di lettura. E poi serve vicinanza, anche fisica."

Di cosa ha soprattutto bisogno una famiglia che deve prendersi cura di un malato di Alzheimer?

"I servizi sanitari non sempre sono mirati alla patologia. Mio padre, che abita a Rimini, poteva usufruire di assistenza a domicilio. Ma gli operatori socio sanitari che venivano a casa nostra erano sempre diversi e questo lo destabilizzava, si agitava molto diventando a volte aggressivo, ne risentiva per tutta la giornata. Anche per questo, per rispetto della sua persona, mia madre si è voluta occupare di lui personalmente. Dai pannoloni alla sedia a rotelle, sono previsti aiuti pratici. Ma non sono sufficienti. L'acqua in gel ad esempio: mio padre non può più bere liquidi ma come malato di Alzheimer non ha diritto a una fornitura di acqua in gel, spetta ad altre patologie. Le famiglie che non hanno una solida base economica faticano".

Quanto conta l'assistenza psicologica?

"I medici che hanno seguito mio padre, da quello di base al geriatra, ci hanno consigliato assistenza psicologica. Ci sono associazioni, gruppi di supporto che organizzano iniziative. Ma nulla di organico. Ogni familiare deve provvedere per sé. Eppure è fondamentale."

Da dove è nato l'idea di un podcast sulla malattia di suo padre e sulla memoria?

"Mi piace leggere e ho cercato rifugio nella lettura quando mio padre si è ammalato. Ho scoperto però che la narrazione intorno a queste malattia mancava, faticavo a trovare testi che mi aiutassero a capire come mi sarei sentita. Mi è stato utile Perdersi di Lisa Genova (Piemme) che racconta la malattia dal punto di vista del malato. Mi ha permesso di indossare i panni scomodi della dimenticanza per superare le fasi in cui mio padre era aggressivo. Ma avevo anche bisogno di qualcuno che mi spiegasse quello che avrei vissuto e che mi confortasse. Non per nascondermi la realtà ma per riuscire a digerirla. Per questo motivo ho cominciato a scriverne. Da una parte volevo trasferire a mio padre quanto scrivevo, leggergli quanto scrivevo nel tentativo di far durare un po' più a lungo la sua memoria. Un espediente non per vincere la battaglia, so che è una battaglia persa, ma per farla durare il più a lungo possibile. Dall'altra parte volevo conservare quei momenti, tenerli a mente io. E condividerli. Ho capito che molte cose anche banali come sentire mio padre pronunciare il mio nome hanno un valore immenso e volevo condividere con gli altri questa consapevolezza."

A cosa rimanda il titolo del podcast, Remind(h)er?

"Ogni puntata si sviluppa a partire da un racconto e si chiude con un promemoria, un reminder. Ma 'remind her' significa anche: 'Ricordati di lei, papà'. Glielo chiedo quando mi siedo sul suo letto: 'Ti ricordi di me?' Con il tempo ha dimenticato il mio nome. Vorrei che si ricordasse anche solo di una lei che abbia qualcosa di me".

Nel podcast dice: 'Se sono i ricordi a tenere in vita le persone, come farà mio padre a sopravvivere?'. Ha trovato una risposta?

"Si può sopravvivere se hai accanto delle persone che ti amano e che ti riportano indietro a quando eri felice. Ci si sente persi ma si deve abbracciare la nuova realtà in cui si vive. Bisogna combattere anche sapendo che non si vincerà. Non ci si deve arrendere. Con mia madre e mio fratello siamo grati per il tempo che ancora lui ci dedica. Quando torna tra noi, anche con una sola parola, un 'sì' in risposta a una domanda puntuale, in noi c'è una gioia incredibile. Abbiamo imparato ad accontentarci, ma non inteso in accezione negativa: quel 'sì' in quel momento è tutto."

Remind(h)er è una serie di OnePodcast in otto puntate