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Tumore ovarico, verso una nuova terapia che prende di mira i mitocondri

Tumore ovarico, verso una nuova terapia che prende di mira i mitocondri
Uno studio dell’Istituto Mario Negri di Milano ha trovato un punto debole di alcune forme del carcinoma ovarico e individuato un inibitore che potrebbe contrastarne la crescita
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Alcune forme di tumore ovarico presentano un punto debole che potrebbe essere sfruttato da una nuova classe di terapie. La scoperta è italiana e arriva dall'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri - Irccs, grazie a uno studio sostenuto dalla Fondazione AIRC per la ricerca sul Cancro, i cui risultati sono pubblicati su Cancer Research. Lo studio chiama in causa i mitocondri, le "centrali energetiche" delle cellule: in pratica, i ricercatori hanno osservato che i tumori ovarici con elevati livelli di due proteine (PGC-1α e PGC-1β), essenziali nel regolare l'attività dei mitocondri, sono sensibili a un nuovo inibitore che ha come bersaglio proprio questi organelli.

Mitocondri "nel mirino"

I ricercatori si sono focalizzati sullo studio del processo Oxphos (la fosforilazione ossidativa), cioè il processo che permette la respirazione cellulare che avviene nei mitocondri, gli organelli che producono l'energia necessaria alle cellule per crescere e riprodursi. "Inibire la capacità dei mitocondri di produrre energia - spiega Raffaella Giavazzi, coordinatrice dello studio - significa quindi impedire alle cellule tumorali di crescere e proliferare, e se le cellule non sono più in grado di produrre energia vanno incontro a morte certa. Per questo motivo, negli ultimi anni diversi studi hanno suggerito di interferire con la funzione dei mitocondri in terapie antitumorali mirate".

Lo studio

La ricerca dell'Istituto Negri, condotta in cellule in coltura e su animali di laboratorio con tumore ovarico, ha infatti mostrato che bloccando con un inibitore (indicato con la sigla IACS-010759) il processo metabolico nei mitocondri, si riesce a tenere sotto controllo la crescita del carcinoma.

I tumori ovarici, però, non sono tutti uguali e questo approccio terapeutico sarebbe adatto solo in alcuni casi. "Abbiamo notato che l'inibizione di Oxphos non è efficace allo stesso modo su tutti i tipi di carcinoma ovarico. Questo beneficio è infatti  correlato all'espressione delle due principali proteine che regolano l'attività mitocondriale", spiegano Carmen Ghilardi, prima autrice dell'articolo, e Maria Rosa Bani, capo del laboratorio di Terapia delle Metastasi Tumorali all'Istituto Negri: "In pratica, danneggiando i mitocondri e provocando una diminuzione delle funzioni cellulari che dipendono dall'energia, si riesce a ritardare la progressione della malattia, con più efficacia in quei tumori ovarici con elevati livelli di PGC-1α/β".

Così come l'inibitore non è efficace sui tumori che esprimono bassi livelli di PGC-1α/β, sembra non avere effetto nemmeno sulle cellule normali: una prima conferma arriva dai risultati ottenuti su animali di laboratorio in cui non è stata evidenziata tossicità, nonostante i trattamenti siano proseguiti per lungo tempo. La rilevanza di questi risultati è stata anche confermata dall'analisi dei dati di un campione di tumori da pazienti affette da cancro ovarico.

"La ricerca - dice Giavazzi - ha evidenziato che nel campione analizzato, circa il 25% delle pazienti presenta livelli alti delle due proteine che regolano l'attività dei mitocondri. A questo punto - conclude - il prossimo passo sarà capire se i risultati ottenuti nei modelli preclinici siano trasferibili a chi soffre di questo tipo di tumore ovarico".

Lo studio fa compiere passi avanti nello studio delle terapie di uno tra i tumori più difficili da curare, per il quale non c'è test di screening e che non presenta neanche sintomi specifici. Nel 75-80% dei casi, infatti, la diagnosi arriva quando la malattia è in fase avanzata e ha già dato origine a metastasi.

Foto: Cellula e mitocondri (in rosso). Crediti: National Cancer Institute via Unsplash