“Mi sono accorta da sola del tumore, dormendo a pancia in giù ho sentito una massa che prima non c’era. Era Natale del 2016. La mia ginecologa mi disse ‘non è nulla, è piccolo, tondo, si muove. Al massimo potrà diventare una cosa antiestetica, la toglierai quando diventerà di 8 centimetri’, e aggiunse ‘stai tranquilla il tumore della mammella alle giovani non viene’. Ma io continuavo a svegliarmi con brutti pensieri. Mio papà, che ora non c’è più, lottava da 3 anni contro un cancro al colon, conoscevo l’argomento. Chiesi quindi al mio medico di famiglia di farmi una impegnativa per un controllo. Lui me la fece, ma senza l’urgenza: anche lui era fiducioso, ero giovane e si fidava della scrupolosità della mia ginecologa. Faccio l’ecografia ad aprile, nel privato perché per farla in ospedale avrei dovuto aspettare molti mesi. Dopo solo un paio di minuti di osservazione la radiologa mi dice ‘Erica dobbiamo approfondire con una mammografia’. Ecco questo è stato l’inizio”.
L’inizio della storia clinica di Erica Diani, un inizio lungo: 4 mesi per arrivare a una diagnosi di un tumore che sembrava fosse troppo giovane per avere. Eppure c’era, era un carcinoma duttale infiltrante alla mammella destra, con "4 linfonodi intaccati ma nessuna metastasi per fortuna”, riprende Erica, che oggi è in remissione - ‘in remissione’, le due parole più belle del mondo, dice sorridendo - e che si sottopone a regolari controlli ed è in terapia ormonale.
Il cancro non ha età
Erica ha 38 anni vive a Verona con suo marito Andrea, è una biologa molecolare, insegna scienze in un liceo scientifico e collabora con l’università della sua città come borsista ricercatore. “La mia formazione scientifica ha contato molto nel mio percorso diagnostico - riprende - potrei dire che mi ha salvato la vita perché non mi sono accontentata delle conclusioni della mia ginecologa. Io sentivo di dover approfondire, di dover raccogliere altre prove per stare tranquilla. Sapevo che la considerazione ‘sei troppo giovane’ non regge sempre: il cancro non conosce età. E poi hanno contato le campagne di informazione: fate l’autopalpazione, sottoponetevi ai controlli… Ecco questi messaggi hanno avuto il loro peso. Io ho sentito al tatto il mio tumore, che non era uno dei miei piccoli noduli benigni che avevo già da qualche anno e che tenevo sotto controllo. Questa massa era nuova, era differente ed era rapida”.
La mammografia non rileva nulla
Dunque si sottopone alla mammografia. “Ma non rileva nulla – continua a raccontare - e si decide di fare l’ago aspirato. Me ne fanno ben sei di aghi aspirati. Eravamo ormai alla Pasqua del 2017, che io e mio marito passiamo aspettando i risultati dei prelievi: un momento terribile”. Il 19 di aprile il centro la chiama, il risultato è pronto e può passare a ritirarlo. “Brutto segno. Quando le cose sono a posto te le comunicano al telefono", ricorda. Prima sembrava benigno e invece no: bisognava intervenire e presto.
Portatemi fuori da questa storia
Erica si sottopone all’intervento chirurgico di mastectomia totale e, successivamente, a una seconda operazione per asportare i linfonodi che la risonanza magnetica non aveva inizialmente rilevato come aggrediti dal tumore, ma che invece lo erano. “Me ne tolgono 15 in tutto”, dice. “Prima della mastectomia - ricorda - il chirurgo mi aveva chiesto come avesse dovuto comportarsi in caso di dubbio, se procedere con un intervento conservativo o puntare alla rimozione totale della mammella, io gli risposi senza nessun indugio: ‘Tiri via tutto professore, al resto penserò in un altro momento. Ora mi porti fuori da questa storia”. Dopo le due operazioni comincia la chemioterapia: 16 sedute. E poi 30 radioterapie "che - dice ridendo - mi hanno guarita anche dalla claustrofobia”. Dopo gli interventi, la chemioterapia e la radioterapia, Erica comicnia la terapia ormonale, e siccome è giovane le fanno anche una iniezione mensile che le tiene a riposo le ovaie, così - questa è l’idea - alla fine della sua brutta storia possa magari provare ad avere un bambino: un bambino che lei e suo marito avevano in programma di avere.
Un figlio
Il bambino di Erica e Andrea arriverà, e sarà un figlio adottato. “Nel febbraio 2019 avevamo fatto richiesta per adottare un bambino e ora siamo in attesa che ci chiami il Tribunale. Covid-19 ha rallentato tutto, ma il percorso è avviato. Temevamo che vista la mia malattia ci sarebbero stati problemi ad adottare, ma non è andata così, evidentemente ci hanno visti pronti e affiatati”, dice contenta. Perché è contenta davvero Erica. “Ero contenta persino quando ho avuto la diagnosi: è stato un percorso lungo arrivare a capire cosa avessi, e noi eravamo consapevoli che conoscere significa curarsi. Abbiamo riso anche per la mia parrucca, quando ho perso i capelli”.
Farsi le spalle, e il fiato
“Il cancro mi ha cambiata. Io non ero proprio così come sono ora. Ero più insicura. Ora conosco i miei limiti e mi sento più centrata. È una brutta avventura questa malattia, sia chiaro, però mi sono fatta un po’ le spalle. Prima di ammalarmi per esempio sarei rimasta molto male per l’abbandono di una amica, una situazione che effettivamente ho vissuto dopo la diagnosi di tumore. Ora invece sono tranquilla, ringrazio chi accanto a me c’è sempre stato e non mi soffermo sul resto. Io amo gli altri, e li amerò sempre perché sono fatta così, ma non ho più la necessità del sostegno di tutti”. Erica è anche diventata una Pink Ambassador, una delle donne simbolo della lotta ai tumori femminili della Fondazione Veronesi: donne, quasi sempre pazienti ed ex pazienti, che corrono per sensibilizzare le altre donne sulla prevenzione delle patologie oncologiche femminili e raccogliere fondi per la ricerca. “Conoscevo le Pink Ambassador perché le avevo viste in programma in tv: donne coraggiosissime che ci mettevano la faccia per dire a chi stava male che c’era una luce dopo la tempesta. Le ho sempre ammirate. Quando mi sono ammalata, nei momenti peggiori, mi ricordavo di loro. Appena sono stata bene ho deciso che dovevo rendere il favore, dire a tutti che grazie alla ricerca c’è un dopo, una seconda possibilità meravigliosa. Ho iniziato questo percorso per gli altri ma non immaginavo quanto bene avrebbe fatto anche a me. Ho conosciuto 10 donne fantastiche, tutte totalmente diverse per età, per patologia, per percorsi terapeutici, ma tutte unite. Se una sta male, le altre ci sono. Ci si capisce dai silenzi, dai messaggi mancati, dagli sguardi. Conosciamo i passi e i respiri di tutte. Siamo - conclude - una botta di energia e positività pazzesche!”.