CAMBIA la terapia per le donne con mutazione Brca 1 e Brca2 e con un tumore del seno o dell’ovaio in stadio avanzato. L’agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) ha infatti approvato la rimborsabilità del farmaco mirato olaparib per il trattamento del carcinoma mammario metastatico triplo negativo e per la prima linea di mantenimento del carcinoma ovarico (in stadio III o IV) che presentano mutazioni in uno dei due geni.
Per il 2020 si stima che saranno 55 mila i nuovi casi di tumore al seno nel nostro paese. Di questi, il 5-7% è legato a fattori ereditari, la metà dei quali riferibile a una mutazione Brca. Si parla quindi di circa 1.900 pazienti. Per quanto riguarda il tumore ovarico, l’incidenza è di molto inferiore - 5.200 nuove diagnosi stimate quest’anno - ma l’80% si presenta in stadio avanzato e la percentuale di mutazioni Brca è più alta: ben il 25% dei casi è riconducibile ad alterazioni in questi stessi geni. In numeri assoluti, quindi, la stima è 1.300 pazienti.
Olaparib è il primo farmaco della classe dei PARP inibitori ed è indicato in chi presenta una mutazione Brca proprio perché sfrutta questo difetto a suo vantaggio, potenziando la sua efficacia. “Gli studi sui geni Brca1 e Brca2 rappresentano la frontiera più avanzata nel campo dell’oncogenetica e la punta di diamante della ‘medicina di precisione’ nella ricerca e sviluppo di nuove terapie personalizzate su base molecolare”, dice Saverio Cinieri, Presidente eletto Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom).
Come cambia la terapia per il tumore ovarico “mutato”
Olaparib potrà essere prescritto il trattamento di mantenimento di prima linea di pazienti adulte con tumore ovarico avanzato epiteliale di grado elevato, o con tumore delle tube di Falloppio o primitivo del peritoneo, che presentano una mutazione di BRCA1 o BRCA2 (germinale e/o somatica) e che hanno mostrato una risposta completa o parziale dopo chemioterapia standard di prima linea a base di platino. “Nel tumore ovarico, è la prima linea di trattamento quella dove si gioca tutto”, dice Nicoletta Colombo, Direttore del Programma di Ginecologia Oncologica dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano: "Fino ad oggi, però, il 70% delle donne con carcinoma ovarico in stadio avanzato va incontro a recidiva entro due anni. I risultati dello studio internazionale SOLO-1 che ha coinvolto 391 donne, pubblicati su New England Journal of Medicine, hanno evidenziato come il trattamento di mantenimento di prima linea con olaparib riduca la percentuale di recidive nelle pazienti con tumore ovarico BRCA mutato. I dati di follow-up a cinque anni dallo studio hanno mostrato come olaparib riduca il rischio di progressione della malattia o morte del 67% e aumenti la sopravvivenza libera da progressione ad una mediana di 56 mesi rispetto ai 13,8 mesi del placebo. A cinque anni, il 48,3% delle pazienti trattate con olaparib è rimasto libero da progressione di malattia rispetto al 20,5% del placebo. Sono risultati eclatanti, impensabili qualche anno fa e le curve di sopravvivenza che stiamo osservando danno molta speranza per il futuro”.
L’esecuzione del test BRCA al momento della diagnosi assume quindi un ruolo fondamentale: “Mancano efficaci strumenti di screening per il carcinoma ovarico e il 75-80% delle pazienti si presenta già in fase avanzata al momento della diagnosi”, continua Colombo: “Solo con il test siamo in grado di identificare tempestivamente le pazienti che possono beneficiare di un trattamento in grado di cambiare la storia della malattia e, per la prima volta, con intento curativo in fase avanzata. Oggi circa 7 pazienti su 10 accedono al test: bisogna arrivare al 100%, anche per arrivare a ridurre l’incidenza della malattia intercettando le persone mutate ancora sane”.
Come cambia la terapia per il tumore al seno triplo negativo “mutato”
L’agenzia regolatoria ha decretato la rimborsabilità di olaparib per il trattamento, dalla prima linea e in quelle successive, di una forma di tumore del seno particolarmente aggressiva, quella triplo negativa avanzata o metastatica, con mutazioni BRCA1/2 (germinali). “Il tumore al seno triplo negativo, in cui rientrano il 15% delle diagnosi di carcinoma mammario, non presenta i recettori degli estrogeni, del progesterone e della proteina HER2”, spiega Pierfranco Conte, Professore di Oncologia dell’Università di Padova e Direttore dell’Oncologia Medica 2 dell’Istituto Oncologico Veneto: “Questo significa che non risponde alla terapia ormonale e ai farmaci che hanno come bersaglio HER2. È la forma più aggressiva, in cui il rischio di ricaduta a distanza aumenta rapidamente a partire dalla diagnosi e raggiunge il picco nei primi 3 anni”.
Circa il 5% di tutte le pazienti con carcinoma mammario è portatore di una mutazione germinale del gene BRCA. La percentuale sale al 15% proprio nelle forme triplo negative. I tumori al seno associati alle mutazioni BRCA1 e BRCA2 tendono a svilupparsi in donne più giovani rispetto alle neoplasie non ereditarie, in forme più aggressive, ed è spesso quello che si presenta tra due esami di screening, perché cresce velocemente.
“Nello studio internazionale OlympiAD, pubblicato su New England Journal of Medicine, che ha coinvolto 302 pazienti con carcinoma mammario BRCA mutato e HER2- negativo (HR-positivo o triplo negativo, ndr.), olaparib ha ridotto il rischio relativo di progressione di malattia o morte del 42% rispetto alla chemioterapia. Le pazienti trattate con la terapia mirata presentavano, inoltre, un tasso di risposta obiettiva del 52%, il doppio rispetto al braccio di chemioterapia, del 23%. Olaparib si è quindi dimostrato una terapia mirata in grado di prolungare in maniera significativa il controllo della malattia, mantenendo una buona qualità della vita e dilazionando la necessità di ricorrere alla chemioterapia. La sensazione, però, è che ancora poche donne vengano testate per le mutazioni Brca. Qui non si parla di un farmaco, ma di un percorso diagnositico-terapeutico appropriato, che deve prevedere fonti di finanziamento”.
Il percorso per pazienti e familiari ancora a macchia di leopardo
Il ruolo delle alterazioni Brca è noto da molto tempo. “Conoscere lo stato mutazionale dei geni Brca è molto importante - continua Cinieri - e il test, eseguito su sangue periferico o su tessuto tumorale, dovrebbe essere effettuato su tutte le pazienti al momento della diagnosi. È questa la via da seguire per definire le migliori strategie terapeutiche e per iniziare il percorso familiare che permette l’identificazione di persone sane con mutazione Brca, nelle quali impostare programmi per ridurre il rischio di sviluppare queste neoplasie, anche con l’aiuto degli psiconcologi. Bisogna avere un approccio rapido ed efficiente, per la cui attuazione le reti oncologiche sono fondamentali. Non si può perdere tempo: il percorso deve essere chiaro e accessibile da tutti”. Le strategie di prevenzione nei familiari sono, invece, ancora a macchia di leopardo, riporta l’Aiom: solo alcune regioni hanno approvato la rimborsabilità del test genetico Brca e dell’eventuale percorso di prevenzione, con controlli regolari ed eventuale chirurgia preventiva per i familiari delle pazienti.
Il peso delle mutazioni
L’associazione degli oncologi, in collaborazione con le principali società scientifiche coinvolte in questo campo della ricerca, ha stilato le Raccomandazioni per l’implementazione del test BRCA nelle pazienti con carcinoma mammario e ovarico (e nei familiari a rischio elevato di neoplasia). Le donne che ereditano la mutazione BRCA1 hanno una probabilità dal 60 all’80% di ammalarsi di tumore mammario e del 40% di sviluppare un tumore ovarico nel corso della vita. Le percentuali sono inferiori per il gene BRCA2, rispettivamente pari al 40 al 70% per la mammella e al 18% per l’ovaio.
Il rischio per gli uomini
Anche gli uomini possono ereditare la mutazione genetica e, a loro volta, trasmetterla ai figli. I maschi con gene mutato sono più predisposti a manifestare il carcinoma mammario maschile e il carcinoma della prostata. Vi può essere un aumentato rischio in entrambi i sessi di neoplasie del pancreas. “Ci sono ormai dati di efficacia su olaparib anche in altre neoplasie e sono estremamente promettenti sia nella prostata che nel pancreas”, aggiunge Colombo.
L’efficacia della chirurgia preventiva
Per il tumore ovarico e mammario le strategie di riduzione del rischio nelle donne sane positive al test - si sono dimostrate molto efficaci: “In particolare - spiega Cinieri - l’intervento di mastectomia bilaterale è in grado di ridurre di circa il 90%, nelle donne sane, il rischio di sviluppare in futuro un tumore mammario. Dall’altro lato, l’asportazione chirurgica di tube ed ovaie (annessiectomia profilattica bilaterale, ndr.) può prevenire la quasi totalità (95%) dei tumori ovarici su base genetico-ereditaria e contestualmente ridurre di oltre il 50% il rischio di carcinoma mammario. Negli Stati Uniti, dove il test BRCA è universale per tutte le pazienti colpite da tumore ovarico già da qualche anno, gli epidemiologi hanno stimato che le strategie di riduzione del rischio - mediche o chirurgiche - potrebbero portare ad una riduzione dell’incidenza del carcinoma ovarico del 40% in 10 anni. Questo risultato - conclude Cinieri - in un tumore che ancora oggi non ha metodiche di screening e di prevenzioni, è di straordinaria importanza”.