In evidenza
Sezioni
Magazine
Annunci
Quotidiani GNN
Comuni

Melanoma: diagnosi entro un mese, ma troppi ritirano da soli il referto

Melanoma: diagnosi entro un mese, ma troppi ritirano da soli il referto
Al Congresso dell’Associazione Europea di Dermatologia Oncologica presentati 2 sondaggi che evidenziano gli ostacoli nella identificazione precoce della malattia
3 minuti di lettura

Quanto si aspetta per una visita dermatologica? E per la conferma della diagnosi di melanoma? Chi comunica l’esito degli esami? Domande alle quali hanno risposto direttamente pazienti e medici coinvolti in due sondaggi realizzati nell’ambito del progetto “Bersaglio Melanoma”. Ne è emerso che quasi il 30% dei pazienti attende da 3 mesi a un anno prima di andare a fare la prima visita specialistica dermatologica. Tra quest’ultima e la conferma della diagnosi di melanoma trascorre meno di un mese per il 79% dei pazienti. Fin qui tutto bene: a destare qualche preoccupazione è il fatto che il 47% dei pazienti ritira personalmente l’esito dell’esame allo sportello referti senza ripassare dal medico. I risultati dei due questionari sono oggetto di un abstract presentato al 17° Congresso dell’Associazione Europea di Dermatologia Oncologica (EADO), in corso in forma virtuale fino al 17 aprile e organizzato insieme al 10° Congresso Mondiale sul Melanoma.

I sondaggi sui pazienti

I due sondaggi rientrano nel progetto “Bersaglio Melanoma”, realizzato grazie al contributo non condizionato di Pierre Fabre e Eau Thermale Avène e promosso dalle associazioni di pazienti AIMAME, Melanoma Italia Onlus (MIO), Emme Rouge e APAIM, con il patrocinio di ADOI (Associazione Dermatologi-Venereologi Ospedalieri Italiani), AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), IMI (Intergruppo Melanoma Italiano) e SIDeMaST (Società Italiana di Dermatologia Medica, Chirurgica, Estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse), con l’obiettivo di comprendere le motivazioni che possono causare diagnosi tardive ed evidenziare così i punti di forza e debolezza del sistema di prevenzione italiano, per ridurre i casi di melanoma individuati in fase avanzata. Ai due questionari, composti da 37 domande, hanno risposto 579 pazienti e 225 dermatologi.

I risultati

Come anticipato, i tempi di attesa per le visite non sono lunghissimi e anche il tempo di asportazione del neo è breve (entro 15 giorni per il 57%). Ma ci sono altri aspetti che potrebbero essere migliorati. Per esempio, anche se la maggior parte dei dermatologi comunica personalmente la diagnosi di melanoma, resta una percentuale consistente di pazienti, pari al 47%, che ritira personalmente l’esito dell’esame allo sportello referti. Anche il tempo dedicato alla spiegazione della diagnosi è limitato, non superiore a 10 minuti per circa il 40% dei pazienti e a 15 minuti per il 18,5%.

Dai sondaggi emergono differenze nella percezione di pazienti e dermatologi anche sui tempi di attesa per la prima visita specialistica dermatologica e sulle parti del corpo controllate durante questo esame. Solo il 23,5% dei pazienti attende meno di un mese per accedere alla prima visita, per il 47% il tempo va da 30 a 90 giorni e per il 21% supera 6 mesi. Invece il 42,4% dei dermatologi intervistati ritiene che la prima visita avvenga entro un mese e solo il 14,7% afferma che l’attesa va da 3 mesi a un anno. L’esame ha interessato tutto il corpo per il 54,2% dei pazienti rispetto all’87,6% dei clinici intervistati, inoltre il 46,3% di questi ultimi sostiene di aver controllato anche parti nascoste (come genitali e cuoio capelluto) rispetto all’11,4% dei pazienti.

In cerca del team

D’altro canto, l’80% del panel di dermatologi intervistati afferma di comunicare personalmente il risultato del referto al paziente e l’83,5% sostiene di non porsi limiti di tempo nella spiegazione della diagnosi.  “Preoccupa che quasi la metà degli specialisti (49,1%) lavori in strutture prive di un’equipe multidisciplinare – afferma Giovanni Pellacani, direttore della Struttura Complessa di Dermatologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena. ‘Bersaglio Melanoma’ vuole individuare le problematiche che possono determinare il ritardo diagnostico del tumore della pelle e ostacolare la corretta presa in carico del paziente, che non sempre è assicurata in modo uniforme su tutto il territorio. Uno degli ostacoli è proprio la mancanza, in alcuni casi, di team multidisciplinari”. La Skin Cancer Unit costituisce il modello ideale, perché vi opera un gruppo composto da dermatologi, patologi, oncologi, chirurghi plastici, radioterapisti e genetisti, dedicato alla gestione dei casi più complessi dal punto di vista diagnostico e terapeutico.

La prevenzione

Nel 2020, in Italia, sono stati stimati 14.900 nuovi casi di melanoma. “Prevenzione e diagnosi precoce sono i due fattori su cui è necessario continuare a intervenire per combattere il melanoma, che è guaribile se individuato in stadio iniziale – spiega Paola Queirolo, direttore Divisione Melanoma, Sarcoma e Tumori rari all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano. Il 50% dei pazienti afferma di non aver mai eseguito, prima della diagnosi, una visita dermatologica per il controllo dei nei e il 43% sottolinea di aver avuto da sé il sospetto di una lesione a rischio. Bisogna insistere sui progetti di informazione e sensibilizzazione, perché il 36% dei pazienti afferma di non aver mai sentito parlare del melanoma prima della diagnosi e solo il 30% dichiara che, nella Regione di residenza, vengono organizzate campagne di prevenzione primaria e secondaria dedicate al melanoma”.

Il ruolo delle associazioni

Le Associazioni di pazienti possono aiutare i clinici ad avere una visione globale della malattia. “Nonostante i risultati del sondaggio mostrino una buona organizzazione del percorso di cura una volta avviato, è molto forte il problema legato alla comunicazione della diagnosi – concludono le Associazioni di pazienti. Lasciare che un paziente legga da solo un referto di melanoma vuol dire generare in lui molta preoccupazione, significa che si metterà alla ricerca di chiarimenti e non sempre le informazioni che troverà, magari su internet, sono d’aiuto. Infatti, circa un terzo dei pazienti chiede una seconda opinione, probabilmente proprio perché troppi ritirano autonomamente il referto istologico. La comunicazione deve essere vista come un’occasione altamente informativa e dal grande impatto emotivo per la persona che la riceve. Per questo va assolutamente potenziata e migliorata. Inoltre, la comunicazione della diagnosi deve includere anche la spiegazione delle fasi successive del percorso di cura e del follow up, lasciando spazio a tutte le domande e dubbi del paziente”.