CON 652 voti a favore, 15 contrari e 27 astenuti, la scorsa settimana il Parlamento europeo ha approvato una relazione sul Piano UE sui tumori in cui si chiedono misure di prevenzione efficaci, un migliore accesso all'assistenza sanitaria transfrontaliera e alle sperimentazioni cliniche, e una gestione più efficiente dell'approvvigionamento dei farmaci. “Un’importante iniziativa che invita a non sottovalutare il pericolo rappresentato dal cancro in un momento storico difficile”, commenta Rossana Berardi, consigliere nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) e Direttrice della Clinica Oncologica dell’Università Politecnica delle Marche - Ospedali Riuniti di Ancona. Che sottolinea la centralità del medico oncologo nell’intero percorso del paziente. “L’oncologo - spiega - è il coordinatore dell’assistenza al malato: la presa in carico del paziente è un momento strategico e può segnare la qualità del percorso terapeutico. Il nostro ruolo non è, infatti, solo quello di implementare rapidamente conoscenze e competenze, ma anche quello di saper guidare, con giudizio clinico, il percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale”.

Il ruolo dell’oncologo medico
Su questo tema, l’Associazione Italiana di Oncologia Medica, insieme al Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri e al Collegio degli Oncologi Medici Universitari, ha elaborato il documento “Ruolo dell’oncologo, profilo delle competenze e formazione specialistica”. Un altro documento - “Processi organizzativi, percorsi e reti” - aveva già posto l’attenzione sul ruolo l’oncologo medico come specialista con visione strategica che si può avvalere, in un’ottica di gestione multidisciplinare, degli specialisti d’organo e degli specialisti d’area terapeutica. “Oggi più che mai l’oncologo è il punto di riferimento per i pazienti, al loro servizio nel contesto dei percorsi integrati di cura e in piena collaborazione con gli altri specialisti”, prosegue Berardi: “Sono proprio i Percorsi Diagnostico Terapeutici, realizzati a livello aziendale, gli strumenti migliori per formalizzare le regole di gestione a livello locale. Basti pensare all’individuazione del miglior approccio terapeutico farmacologico tra quelli disponibili, anche in un’ottica di ottimizzazione delle risorse e di sostenibilità”. “Gestiamo la fase diagnostica, la terapia attiva con l’applicazione di trattamenti innovativi che impongono la gestione di nuove tossicità”, sottolinea anche Rosa Rita Silva, direttrice dell’Oncologia dell’Ospedale di Fabriano e consigliere nazionale CIPOMO (Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri): “Inoltre rappresentiamo il garante del corretto passaggio del paziente alle cure palliative”.

La necessità di dirottare risorse economiche, organizzative ed umane per affrontare la pandemia ha penalizzato l’oncologia. Nei prossimi anni probabilmente questo porterà ad un incremento dei casi e della loro gravità. “Nel momento in cui si ha la sensazione di star uscendo dall’emergenza, si pone il tema di porre nuovamente al centro degli sforzi della politica sanitaria il mondo della oncologia”, aggiunge Paolo Alessandroni, coordinatore regionale di Aiom: “Occorre ripartire con gli screening, con l’implementazione dei percorsi diagnostico terapeutici, con nuove logiche di multidisciplinarietà, in cui gli oncologi rappresentino la centralità legata alla storia della nostra disciplina e alla sua cultura di ricerca clinica”.

Curare non vuol dire dare un farmaco
Il compito dell’oncologia medica, durante questi due anni, è stato anche quello di assicurare a tutti i pazienti i trattamenti più adeguati. “Non è stato facile, soprattutto per le inevitabili restrizioni che abbiamo dovuto mettere in atto”, ricorda Nicola Battelli, direttore dell’Oncologia dell’Ospedale di Macerata: “Purtroppo garantire il trattamento non significa sempre garantire la ‘cura’ del paziente. E’ mancato o comunque si è sensibilmente ridotto l’aspetto umano che caratterizza il nostro operato. Curare significa accompagnare il paziente durante il suo difficile percorso anche con un sorriso, una stretta di mano, uno sguardo. In oncologia fare eccellenza significa mettere al centro del nostro lavoro il paziente, garantendo non solo il miglior trattamento, ma anche la migliore qualità di vita in senso fisico e psicologico. E in questo l’oncologo è il riferimento”.
Ora serve l'integrazione con la medicina del territorio
E’ indubbio che il ruolo dell’oncologo sia cambiato negli ultimi anni e che continui ad evolvere, integrando le proprie competenze con quelle della medicina territoriale I nuovi farmaci portano anche nuove tossicità e l’impegno dell’oncologo è di coordinare la gestione delle azioni da intraprendere nei confronti del paziente”, spiega Vincenzo Catalano, direttore dell’Oncologia dell’Ospedale di Urbino: “Per accompagnare il paziente in tutte le fasi della malattia è necessario che l’oncologo sia perfettamente integrato con il territorio, Medici di Medicina Generale e servizi di cure domiciliari. Questo aspetto è di grande rilievo soprattutto per i pazienti gestiti lontano dalle città sede di ospedali e nelle zone montane”.

La ricerca non si è fermata
“Ora che Covid retrocede, vediamo sempre più chiaramente le macerie che ha lasciato, in particolare tra i pazienti oncologici", conclude Renato Bisonni, direttore dell’Oncologia dell’Ospedale di Fermo: “In questi due anni, l'ala più avanzata della comunità scientifica oncologica ha continuato il suo lavoro e nuove terapie sono state portate sul campo. Oggi possiamo registrare un ulteriore piccolo passo nella sopravvivenza in alcune delle forme più diffuse di cancro”.