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Approvato nuovo farmaco per il linfoma non-Hodgkin più comune

(Crediti: Testalize.me via Unsplash)
(Crediti: Testalize.me via Unsplash) 
L’Aifa autorizza la rimborsabilità di tafasitamab in associazione a lenalidomide, un trattamento chemio free per pazienti che oggi hanno possibilità di cura limitate. Nel 40% di casi ha dimostrato di portare alla remissione completa della malattia
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Per chi è colpito da linfoma diffuso a grandi cellule B - la forma più comune e aggressiva di linfoma non-Hodgkin –, non risponde alle terapie di prima linea o sviluppa recidive, e non può affrontare un trapianto di cellule staminali, l’Agenzia italiana del Farmaco (Aifa) ha dato il via libera alla rimborsabilità di un nuovo trattamento. Si tratta di un anticorpo monoclonale, tafasitamab, potenziato per colpire le cellule cancerogene: la terapia prevede la sua somministrazione in combinazione con lenalidomide e ha dimostrato di indurre una risposta positiva e prolungata dei pazienti, portando a una remissione parziale o completa della malattia.

La malattia ritorna in un terzo dei pazienti

In questo tipo di linfoma, che in Italia conta 4.400 diagnosi ogni anno, le cellule B, un sottotipo di linfociti, diventano più grandi del normale e si moltiplicano in modo incontrollato. “Il sintomo più frequente è il rapido ingrossamento dei linfonodi a livello del collo, delle ascelle e dell’inguine, a cui si possono aggiungere febbre, sudorazione notturna e perdita di peso – spiega Andrés José María Ferreri, Direttore dell’Unità Linfomi all’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e Presidente della Fondazione Italiana Linfomi (FIL) Onlus. Circa un terzo dei pazienti non risponde alla prima linea di trattamento o ha una recidiva e, quando questo si verifica, le opzioni terapeutiche diminuiscono, così come anche la sopravvivenza globale, che si riduce a meno di un anno.

I risultati della nuova terapia

Veniamo ai risultati su tafasitamab, che si somministra, appunto, in associazione a lenalidomide, (un farmaco immunomodulatore contro i tumori del sangue) e agisce contro l’antigene tumorale CD-19. I dati a 3 anni ottenuti da L-MIND (lo studio di fase 2 condotto su 81 pazienti con malattia recidivata o refrattaria non candidabili al trapianto di cellule staminali) hanno dimostrato una remissione completa della patologia nel 40% dei pazienti; se si aggiungono anche coloro che hanno avuto una risposta importante, si arriva a circa il 60% dei pazienti. La mediana della durata di questa risposta è stata molto prolungata, di ben oltre 3 anni (44 mesi): ossia, la metà dei pazienti ha avuto una risposta più duratura. “Un risultato mai osservato prima in questo gruppo di pazienti – commenta Pier Luigi Zinzani, ordinario di Ematologia dell’Istituto di Ematologia "Seràgnoli" dell’Università di Bologna –. Parliamo, oltretutto, di un regime chemio free: un dato molto importante per i pazienti, che possono ottenere dei risultati significativi senza gli effetti collaterali tipici della chemioterapia. Il suo profilo di tossicità, limitato e ben tollerato – continua Zinzani - è esclusivamente ematologico, con la riduzione dei globuli bianchi, dell'emoglobina e delle piastrine. Non si è infatti avuto alcun riscontro di tossicità extra ematologica, cioè cardiaca, polmonare, renale ed epatica, e questo rende veramente molto sicuro il trattamento”.

 

Prospettive di cura cambiate radicalmente

La terapia prevede la somministrazione di tafasitamab per via endovenosa e di una compressa di lenalidomide per tre settimane consecutive a mesi alterni per 12 mesi. Se il paziente ne trae beneficio, il trattamento continua solo con tafasitamab fino alla progressione della malattia.

Sono diverse le opzioni terapeutiche emerse negli ultimi anni per il trattamento di questo tipo di linfoma. Alla possibilità di ottimizzare la terapia di seconda linea, si aggiunge anche il trattamento con cellule CAR-T a partire dalla terza linea. “Se pensiamo a cosa potevamo offrire ai nostri pazienti solo qualche anno fa e a cosa possiamo offrire oggi – conclude Zinzani – appare chiaro come le prospettive di cura siano radicalmente cambiate”.