LA GENTILEZZA è spesso sottovalutata. Soprattutto di fronte a un malato, perché rappresenta la prima medicina. Chiunque sia stato un paziente nella propria vita sa quanto l’empatia e l’umanità da parte dei medici possano migliorare l’approccio alla terapia e, in definitiva, la qualità di vita. E ce lo ricordano oggi le oltre 5 mila donne che hanno partecipato al "Riconoscimento Umberto Veronesi al Laudato Medico” istituito da Europa Donna Italia nel 2017 per premiare i medici capaci di “prendersi cura” dei pazienti, e non solo di “curare”.
La cerimonia di premiazione si è svolta oggi in diretta streaming, trasmessa sui canali social di Europa Donna Italia. “Attraverso la radiologia noi vediamo la malattia, la possiamo quantificare e possiamo comunicarla bene, sia ai pazienti sia ai colleghi”, ha detto La Forgia: “Il radiologo senologo è l’unico forse radiologo che ha il contatto diretto con la paziente. Noi abbiamo l’onere della prima comunicazione e dobbiamo scrutare la sensibilità delle pazienti per rapportare con il giusto equilibrio”. “Nel mio lavoro - ha aggiunto Terrino - oltre alle mani e alla mente, penso sia fondamentale anche un sorriso”.
“Spesso le pazienti si sentono dire frasi come ‘ma cos’hai da piangere?’, che dimostrano un’incapacità totale di gestire le emozioni, di capire che ogni volta che c’è una diagnosi c’è uno tsunami”, spiega Gabriella Pravettoni, Direttore della Psiconcologia dello IEO: “Così come non sono adeguate metafore che spesso si usano, come quella di guerriere, che sottintende che se una donna muore è stata una cattiva guerriera. Dobbiamo lavorare davvero tanto sulla umanizzazione della cura, insegnare qual è lo spazio dell’accoglimento della paura”.
Quattro medici nel solco del “Prof”
Nelle oltre 5 mila segnalazioni arrivate, le pazienti hanno riconosciuto ai propri medici quei tre “pilastri” della buona relazione di cura secondo Umberto Veronesi: accoglienza, chiarezza ed empatia. Come ogni anno ci sono 12 finalisti e quattro "vincitori", uno per ciascuna specializzazione: il radiologo Daniele La Forgia, dell’IRCCS Istituto Tumore “Giovanni Paolo II” di Bari; la chirurga senologa Valentina Territo, del Presidio Ospedaliero Vittorio Emanuele di Gela (ASP Caltanissetta); l’oncologa Stefania Guarino, dell’ASUR Marche Area Vasta 1 Presidio Ospedaliero di Urbino; la radioterapista Alessandra Huscher della Fondazione Poliambulanza Brescia.La cerimonia di premiazione si è svolta oggi in diretta streaming, trasmessa sui canali social di Europa Donna Italia. “Attraverso la radiologia noi vediamo la malattia, la possiamo quantificare e possiamo comunicarla bene, sia ai pazienti sia ai colleghi”, ha detto La Forgia: “Il radiologo senologo è l’unico forse radiologo che ha il contatto diretto con la paziente. Noi abbiamo l’onere della prima comunicazione e dobbiamo scrutare la sensibilità delle pazienti per rapportare con il giusto equilibrio”. “Nel mio lavoro - ha aggiunto Terrino - oltre alle mani e alla mente, penso sia fondamentale anche un sorriso”.
Se una parola migliora la prognosi
Supportare psicologicamente e socialmente i pazienti può avere delle ricadute pratiche molto positive, anche sulla prognosi. “La partecipazione emotiva del medico alle vicissitudini di chi inciampa in un tumore è essenziale, perché migliora il percorso di cura e l’aderenza al programma terapeutico che deve essere capito e condiviso dai pazienti”, dice Paolo Veronesi, Presidente Fondazione Umberto Veronesi: “I pazienti si curano meglio, si evitano potenziali rifiuti non giustificati alle terapie e si supera con maggior serenità anche la fase del follow-up, perché una paziente serena, che non vive con il terrore della ricaduta, viene seguita meglio e torna alla sua vita di tutti i giorni con una certa tranquillità”. Ostacoli a una relazione empatica e di sostegno sono però, spesso, la carenza di tempo dei medici e anche l’uso di tecnologie importanti, ma che possono mettere il medico in secondo piano.“Spesso le pazienti si sentono dire frasi come ‘ma cos’hai da piangere?’, che dimostrano un’incapacità totale di gestire le emozioni, di capire che ogni volta che c’è una diagnosi c’è uno tsunami”, spiega Gabriella Pravettoni, Direttore della Psiconcologia dello IEO: “Così come non sono adeguate metafore che spesso si usano, come quella di guerriere, che sottintende che se una donna muore è stata una cattiva guerriera. Dobbiamo lavorare davvero tanto sulla umanizzazione della cura, insegnare qual è lo spazio dell’accoglimento della paura”.