Il giorno che Nuvolari umiliò in Germania i bolidi voluti da Hitler
Una rimonta incredibile, l’uomo che trionfa sulla macchina: 85 anni fa l'impresa del Mantovano volante al Nürburgring
Gian Paolo GrossiMANTOVA. Ottantacinque anni fa il trionfo assoluto dell'uomo sulla macchina, in una pagina di sport che fonde alle prodezze dei piloti in pista il particolare contesto storico in cui essa viene scritta. Hitler è ormai il padrone della Germania e ha affidato all'industria dell'automobilismo sportivo la missione di tenere alto il prestigio del suo Paese. Per questo sin dal 1933 ha dato una frustata di entusiasmo al settore, sovvenzionando i progetti della Mercedes otto cilindri (la W25, resa celebre dalla colorazione naturale dell'alluminio per rientrare nel limite del peso e da qui denominata “Silberpfeil”, freccia d'argento) e della sedici cilindri Auto Union di Ferdinand Porsche.
Sono le vetture che fanno improvvisamente invecchiare i gioielli dell'Alfa Romeo, la gloriosa P3 realizzata dal genio di Vittorio Jano e la potentissima ma sperimentale bimotore a sedici cilindri, buona solo per permettere a Tazio Nuvolari di demolire due record mondiali di velocità sull'autostrada Firenze-Mare, strappandoli alla Mercedes. Quanto al 42enne Tazio, è apparentemente al tramonto dopo aver vinto tutto, segnato nella mente e nel fisico da incidenti e cicatrici: eppure, quel 28 luglio 1935, nel grigiore del Nürburgring, si prende la scena che avrebbe dovuto essere di Caracciola, Fagioli, o del giovane Von Brauchitsch con le Mercedes o magari di Rosemeyer, Varzi e Stuck con le Auto Union. Tra le innumerevoli perle di una carriera leggendaria, quella conquistata al Gran Premio di Germania contro gli squadroni tedeschi e i loro bolidi argentati è la più grande e celebrata vittoria del Mantovano Volante a bordo di un'auto. La ottiene con la P3 ceduta a Enzo Ferrari, migliorata nell'aerodinamica e con dieci cavalli e venti chilometri orari in più nell'acceleratore: poca roba comunque, rispetto ai 500 cavalli dei mostri germanici, nel pieno rispetto - per le auto da Grand Prix - dei 750 chili di peso. Ma sui circuiti più guidati e di difficile interpretazione la sensibilità di Tazio può ancora fare la differenza, rispetto a quelli di pura potenza. Alfred Neubauer, direttore nel box Mercedes, non se ne cura: «Nuvolari è il passato. Presente e futuro appartengono ai piloti di Hitler».
Sullo sfondo di questa storia, infatti, ci sono ancora loro, i grandi politici che studiano da dittatori, Hitler e Mussolini, non ancora stretti dalla fatale alleanza. In piena campagna d'Etiopia il Duce non vuole ammettere di essere stato superato da Hitler in una disciplina rappresentativa e di alto valore nazionalistico come l'automobilismo da competizione. “Nivola”, dal canto suo, è sicuro di poter dare filo da torcere alle cinque Mercedes e quattro Auto Union favorite sulla sua Alfa. Ha una fiducia illimitata nelle proprie abilità e che nessuno lo creda capace di un'impresa clamorosa gli agevola il compito. Sa, soprattutto che le 172 curve del tracciato possono annullare i 250 cavalli di differenza tra la sua auto e i bolidi tedeschi. E infatti, tra lo stupore generale, l'ultimo giorno di prova stabilisce il miglior tempo assoluto sul giro. Qualcuno pensa a un errore di cronometraggio.
Secondo quanto riporta la Gazzetta dello Sport, dando sfoggio di un nazionalismo spiccatamente dannunziano la mattina della gara Nuvolari esige un nuovo tricolore da issare sul pennone delle tribune al posto di quello presente, lacero e sbiadito. Alla partenza pioviggina, una parte del circuito è immersa nella nebbia e davanti ai 300mila spettatori radunatisi sulle colline dell'Eifel Tazio scatta bene dalla prima fila, assegnatagli per sorteggio. Alle sue spalle rinviene però Caracciola che lo precede subito in frenata, per poi infilarsi giù verso Adenau davanti a tutti nel primo dei 22 giri in programma nell'inferno verde della Gesamtstrecke, l'unione degli anelli nord e sud che compongono il circuito. Al sesto passaggio le Mercedes hanno già rimesso le cose a posto e dettano legge: primo Caracciola davanti a Fagioli e Von Brauchitsch, quarto è Nuvolari, unico rappresentante di un'Alfa che ha già perduto Chiron, Brivio e Balestrero. Anche Varzi è attardato e si ritirerà ai due terzi della distanza. Ma quando la pioggia cessa il Mantovano Volante va al contrattacco: a metà gara, poco prima del rifornimento, Tazio ha passato uno dopo l'altro gli alfieri Mercedes guadagnandosi il comando della corsa. Al box però i meccanici del'Alfa rompono la leva che aziona la pompa del carburante e devono rifornire manualmente: i rivali ripartono come saette, Nuvolari perde oltre un minuto e quando riprende la pista è nuovamente al quarto posto.
Tutto sembra perduto ma non nella testa e nel cuore di Tazio. Rosemeyer, risalito secondo, è fuori causa per un'avaria, “Nivola” passa Caracciola al 15° giro e va all'inseguimento di Von Brauchitsch a cui, a quattro tornate dal traguardo, deve recuperare ben 37 secondi. Proprio in quel passaggio il tedesco fa segnare il giro veloce della corsa, a quasi 130 di media. E forse esagera: più potenza, maggiore logorio degli pneumatici. Neubauer intuisce il problema e intima al suo pilota di rallentare, ma può farlo solo una volta ogni 28 chilometri. Quando sta per cominciare il giro conclusivo i due sono divisi da una trentina di secondi. Nuvolari spinge, Von Brauchitsch rallenta ma il disco con l'inno nazionale tedesco è già pronto sul piatto del trasmettitore. Sono tutti in piedi sulla tribuna del rettilineo principale, quando anziché una macchina argento dall'ultima curva ne sbuca una rossa, costringendo il capo della motorizzazione tedesca a rimettersi in tasca il foglio con il discorso da pronunciare. Nuvolari ha vinto, ricacciando indietro per un giorno la manifesta superiorità del Reich. Partono le note dell'inno italiano, sul pennone sventola il Tricolore. Il grande Tazio si ritrova con una corona d'alloro al collo. Dirà il giorno stesso alla Gazzetta dello Sport in una delle sue rare interviste: «Improvvisamente, nei pressi di Adenau, intravidi Brauchitsch che sbandava. Un tuffo al cuore, un ultimo appello alla macchina generosa. Poco dopo era davanti a me. Qualcosa di nero volò per aria, le sue gomme erano saltate. Passai con un urlo rabbioso del motore. Dentro di me sentii qualcosa di dolce che non avevo provato mai. Attorno la grande folla era letteralmente sbigottita. Quando giunsi sul traguardo tutto quel pubblico che soffriva mi fece una gran pena...».
I commenti dei lettori