In evidenza
Sezioni
Magazine
Annunci
Quotidiani GNN
Comuni

Sprecato il tesoro di Wembley La Nazionale sotto processo

Da campioni d’Europa alla seconda esclusione consecutiva dal Mondiale Beghe politiche e un livello tecnico scaduto alla base del fallimento italiano

Paolo Brusorio
2 minuti di lettura



Tra Londra e Palermo ci sono otto mesi, 2730 km e due Italie. La prima, esaltante, è quella dell’estate 2021; la seconda, deprimente, l’abbiamo vista dilapidare un tesoro, farsi battere dalla Macedonia e salutare il Mondiale per la seconda volta di fila.

E stavolta non c’è nemmeno la testa di Giampiero Ventura da consegnare alla folla per placarla: successe nel 2017 dopo lo choc con la Svezia. L’allora ct e il suo presidente federale (Carlo Tavecchio) si dimostrarono perfetti punching ball. Il primo inadeguato a certi livelli; il secondo inadeguato e basta. Ora la situazione è diversa, il titolo europeo vinto a Wembley l’11 luglio scorso mette al riparo Roberto Mancini dai pomodori, anche quelli virtuali, ma visto ora sembra un’aggravante. Non siamo riusciti a mettere in sicurezza quella gemma trovata nel deserto, non ci siamo resi conto che dietro la facciata c’era poco o nulla. Come fosse un set di Cinecittà.

Il nostro calcio è rimasto quello di prima, non ha imparato nulla. Non sul campo e nemmeno fuori. Siamo rimasti quelli che fischiano l’inno avversario, quelli che gridano «merda» (rivisto e corretto giovedì sera ma poco cambia) a ogni rinvio del portiere avversario. Quelli delle plusvalenze e dei ritocchi ai bilanci; quelli che scelgono uno stadio decrepito e indecoroso come il Barbera per una partita così importante e «grazie allo splendido pubblico palermitano»; quelli della Superlega; quelli del campionato che scade di livello ma scendere a 18 squadre resta una bestemmia; quelli per cui la Nazionale è un fastidio però poi se vince l’Europeo il valore di mercato se lo godono i club; quelli che la Lega non rinvia la giornata di campionato («Non ci posso fare niente, è un ente a parte» dice il presidente federale Gravina) per agevolare la preparazione dei playoff ma come è possibile che tutto accada senza che lui possa toccare palla?

Nella notte più buia della Nazionale ci hanno colpito due immagini: gli occhi lucidi, al confine delle lacrime, di Roberto Mancini e l’atteggiamento fuori sincrono del presidente federale. Che, sia chiaro, non ha colpe se Berardi tira verso la porta macedone come fosse ai giardini pubblici, ma che non può farsi scudo con la bellezza del successo europeo e spostare l’attenzione dal disastro alle cause politiche del disastro. Mettersi in discussione, almeno nella forma, ci sembrava il minimo sindacale dopo uno scempio simile. E invece: «Resto e difendo l’Italia». Vedremo come e se.

Ci lecchiamo le ferite e pur non convinti che lo farà, votiamo perché Mancini stia al proprio posto. Ha chiesto e ottenuto tanto se non tutto dalla Federazione, ma tanto ha dato. «La fortuna no se entrena» diceva il Maestro Tabarez, eppure c’è stato un momento durante gli Europei in cui pareva che il ct potesse disporre anche della buona sorte. Poi abbiamo iniziato a scalare i crediti, e sbagliato una partita (con la Bulgaria) e i due rigori (con la Svizzera) ma gli allarmi non sono mai suonati. O l’hanno fatto a vuoto.

Il ct è sembrato aver perso il tocco magico scegliendo la squadra per la riconoscenza e non per la forma. E ha sbagliato. Ma è l’unico ad aver creduto in un’idea che è diventata un caposaldo azzurro. Credevamo di avere dei campioni e invece ci siamo trovati Campioni: paradosso che non ha aiutato, ma anzi ci ha illuso di stare alla pari con gli altri paesi. Che continuano invece a guardarci da molto lontano.

Saltiamo un altro giro e non era previsto, oltre a vincere però un titolo europeo non abbiamo fatto nulla per evitare la caduta.

Sorpresa: credevamo fosse amore, invece era un calesse. —



I commenti dei lettori