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Il misterioso caso dell’equo compenso: non è una tassa ma tutti la paghiamo (e ora aumenta)

In una bozza di decreto, il ministro Franceschini rivede le tariffe dovute per la Copia Privata. Si applicheranno anche su smartwatch e smartband, e porteranno alla Siae almeno 120 milioni di euro l’anno

3 minuti di lettura

Tra 120 e 130 milioni di euro: tanto guadagna la Siae ogni anno dall’equo compenso. Nato nel 1992, come parziale indennizzo per le mancate vendite dei dischi dovute alla diffusione della radio, applicato con zelo alle cassette prima e ai cd poi, è approdato ad hard disk, chiavette Usb, schede Sd e smartphone e televisori grazie al ministro Franceschini il 20 giugno 2014, mentre gli italiani erano distratti dalla partita della Nazionale ai Mondiali di Calcio.

Franceschini, che nel frattempo è di nuovo ministro della cultura, ci riprova: la bozza di decreto con le nuove tariffe per l’equo compenso sarà discussa il prossimo 20 febbraio in un'audizione con 38 tra associazioni di categoria e altre realtà del settore. 

 

Le nuove tariffe
Non entreremo nel dettaglio di ogni singolo apparecchio e componente (lo ha fatto con grande precisione DDay). E in realtà le nuove aliquote sono per la maggior parte un adeguamento ragionevole allo sviluppo tecnologico che ha reso disponibili grandi quantità di memoria digitale a prezzi sempre più bassi, però ha anche portato nelle tasche degli italiani smartphone da 512 GB, se non addirittura 1 TB. Oltre i 32 GB (un valore da telefonino entry level), l’equo compenso passa da 5,20 a 6,90 euro: sembra poco, ma è un aumento del 30%. Per gli hard disk il massimo era fissato in 20 euro, ora il limite scompare, quindi chi compra un hard disk da 4 TB paga 36 euro di equo compenso, per un apparecchio che su Amazon in questo momento costa meno di 90 euro. La differenza, è facile immaginarlo, ricadrà sul consumatore. 

 

Presunzione di colpevolezza
Quello che non ci pare ragionevole è la premessa su cui si basa il meccanismo dell’equo compenso: “La Copia Privata - si legge sul sito della Siae - è il compenso che si applica sui supporti vergini, apparecchi di registrazione e memorie in cambio della possibilità di effettuare registrazioni di opere protette dal diritto d’autore. In questo modo ognuno può effettuare una copia con grande risparmio rispetto all’acquisto di un altro originale oltre a quello di cui si è già in possesso. Prima dell’introduzione della copia privata, non era possibile registrare copie di opere tutelate. In Italia, come nella maggior parte dell’Unione europea è stata concessa questa possibilità, a fronte di un pagamento forfetario per compensare gli autori e tutta la filiera dell’industria culturale della riduzione dei loro proventi dovuta alle riproduzioni private di opere protette dal diritto d’autore realizzate con idonei dispositivi o apparecchi. L’entità del compenso tiene conto del fatto che sui supporti si possa registrare anche materiale non protetto dal diritto d’autore”. L’equo compenso, insomma, è un obolo versato alla Siae indipendentemente dal fatto che davvero quel supporto di memoria sia utilizzato per registrare materiale protetto da copyright. Sul quale, peraltro, si è già pagato il diritto d’autore. Sostituendo il digitale con ellepì e 45 giri, la situazione diventa forse più chiara: è come se una parte del prezzo dello scaffale dove teniamo i dischi andasse alla Siae, e ci andasse anche se quegli scaffali li usiamo in realtà per tenerci delle piante.  Si paga, insomma, per la sola possibilità che lo smartphone, il tablet, l’hard disk, la chiavetta Usb possano contenere materiale protetto da copyright.

Un’osservazione anche solo superficiale della memoria di uno smartphone, un tablet o un computer suscita ulteriori perplessità: app e giochi hanno bisogno di molto più spazio rispetto a canzoni e film, ma la Siae verserà una quota di equo compenso agli autori di Candy Crush Saga?

 

La tecnologia si evolve
Queste obiezioni erano certamente valide anche sei anni fa: ma oggi l’84% di chi ascolta musica lo fa tramite servizi di streaming, secondo una ricerca condotta da Nielsen e presentata di recente da Anitec-Assinform e Confindustria Digitale alla Commissione Interparlamentare Innovazione a Roma. A ottobre 2018, 30,8 milioni di italiani hanno fruito di contenuti streaming in mobilità. Questo mentre il mercato mondiale della musica ha registrato il quarto anno consecutivo di crescita e la parte digitale dei ricavi è aumentata del 21,1% arrivando a 10,1 miliardi di euro, il 58,9% del totale. Solo in Europa, i ricavi generati dai servizi di streaming premium hanno segnato un incremento del 29,2% nel 2018, senza contare la remunerazione generata dai servizi free, sostenuti dalla pubblicità. Il tutto si iscrive in una tendenza mondiale ove, guardando solo a YouTube, sono 6 i miliardi di dollari di ricavi ritornati all'industria musicale, dei quali più di 1,8 tra settembre 2017 e ottobre 2018. E sempre su scala globale, si stima che i ricavi dal digitale per l'industria audiovisiva raggiungeranno i 107 miliardi di euro nel 2022 (contro i 57,8 miliardi nel 2017).

 

L’appello di Confindustria Digitale
Per Cesare Avenia, Presidente di Confindustria Digitale, "i dati confermano che lo streaming è divenuto un vero e proprio motore di crescita per l'industria dei contenuti: da qui l'urgenza di superare le vecchie regole dell'equo compenso che ancora gravano sui dispositivi elettronici, continuando a penalizzare consumatori e produttori. E' necessario aggiornare la normativa in materia di diritto d'autore per giungere a una regolazione in grado di accompagnare il trend dominante della domanda, favorendo anche in Italia l'innovazione tecnologica e lo sviluppo dei nuovi modelli di business". Anitec-Assinform e Confindustria Digitale chiedono al Parlamento di adeguare le normative su equo compenso e Direttiva copyright al mutato quadro delle modalità di consumo dei contenuti digitali; di agevolare a livello normativo lo sviluppo di servizi streaming contribuendo così alla diffusione delle nuove tecnologie e alla riduzione dei costi di fruizione; di aggiornare la normativa in materia di diritto d'autore, contemperando la tutela del copyright con le mutate abitudini dei consumatori. 

In parte - va detto - la bozza di decreto dà conto di queste nuove abitudini: scompare ad esempio, l’equo compenso sulle cassetta audio vergini (23 centesimi l’ora) e sulle videocassette VHS (10 centesimi l’ora). Ma viene introdotto per la prima volta su smartwatch e smartband: fino a 5,60 euro che finiranno nelle casse della Siae senza che nessuno riesca a spiegare perché.