Conoravirus, l’epidemia sui social: ecco la mappa interattiva della paura
Jaime D'Alessandro
CoMuNe lab (Fondazione Bruno Kessler | Media)
La Fondazione Bruno Kessler, ha pubblicato una piattaforma che fornisce un quadro sulla relazione tra l’evoluzione dell’epidemia di COVID-19 e le dinamiche informative sui social media. Tra fake news, paure e ottimismo
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UNA valanga di tweet, che raggiungono picchi di cinque o sei milioni al giorno. Il Coronavirus è un’epidemia anche sui social e segue fedelmente i passi di quella nel mondo fisico. La fotografia, in continua evoluzione, l’ha scattata lo studio della Fondazione Bruno Kessler di Trento con una piattaforma online che fornisce un quadro sulla relazione tra l’evoluzione dei contagi da Covid-19 e le dinamiche informative sui social media.
"Per ogni messaggio riusciamo a capire se si tratta di un post di una persona o di un bot e, nel secondo caso, se proviene da un account verificato o invece da uno non verificato", racconta Manlio De Domenico, fisico dei sistemi complessi e responsabile dell’Unità CoMuNe Lab alla Fondazione.
Prima che arrivi il virus in un Paese, i tweet sono ovviamente meno numerosi e la metà diffonde notizie fasulle o inesatte. "Ma quando scoppiano i primi casi cambia tutto", prosegue De Domenico. "A quel punto le persone iniziano a documentarsi e falsità e imprecisioni calano in percentuale".
Calano ma non abbastanza a quanto pare. Secondo l’Unità CoMuNe Lab, esiste un metro di misurazione dell’azione dei bot nel propagare notizie fasulle, una sorta di epidemia social o infodemia come la chiamano a Trento, e l’Italia è stata colpita in pieno. Da noi circa il 20% delle notizie è generata da sistemi automatici non verificati e dunque a rischio di bufale.
Altro dato interessante: "In Corea del Sud, dopo l’intervento del Governo, i tweet hanno preso a mostrare un sentimento positivo e di unità del Paese", spiega De Domenico. "E’ successo anche da noi, benché in maniera minore, fra il 27 e il 28 febbraio". E la stessa cosa è accaduta sempre in quei giorni in Perù e Tailandia. Ma a Trento stanno ancora cercando di capire il perché.