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“La sospensione di Trump è permanente”, così il CEO di Twitter in un video riservato

Diffusa la registrazione in cui Jack Dorsey spiega ai suoi dipendenti perché ha rimosso il presidente degli Stati Uniti dalla piattaforma e quali sono le prossime mosse

2 minuti di lettura

“Per il momento ci stiamo concentrando su un solo account, ma tutto ciò assumerà ben altre dimensioni e andrà avanti molto più a lungo”. L’account a cui si fa riferimento è ovviamente quello di Donald Trump, mentre a parlare ai 4.500 dipendenti connessi online è Jack Dorsey, fondatore e CEO di Twitter. Il discorso di Dorsey è stato infatti registrato da qualche dipendente e diffuso giovedì scorso da un account Twitter, Project Veritas.

La veridicità della registrazione è stata confermata dalla stessa società di San Francisco, che ha sottolineato come le affermazioni fossero praticamente uguali a quelle contenute nella serie di tweet con cui Dorsey ha argomentato la decisione di sospendere il presidente degli Stati Uniti dalla sua piattaforma (come hanno fatto anche Facebook, Snapchat e altri). Non si tratta quindi di rivelazioni, anche se il contenuto della registrazione fa maggiore luce su quale sia la strategia di Twitter, da qui in avanti, nei confronti di Donald Trump, degli account legati a pericolose teorie del complotto (a partire da QAnon) e più in generale dei discorsi d’odio.

“Abbiamo sospeso in maniera permanente l’account [di Donald Trump] a causa del rischio che ci fossero ulteriori incitazioni alla violenza”, ha infatti raccontato Jack Dorsey. Una formulazione che fa pensare che Donald Trump non potrà più rimettere mano al suo account, nemmeno quando avrà finalmente lasciato la Casa Bianca (il 20 gennaio) e tornerà alla sua vita da semplice cittadino. Come segnalato dallo stesso Dorsey, la sospensione di Trump – che ha catturato l’attenzione di tutto il mondo – non è però un caso isolato.

Poche ore prima della clamorosa cacciata dal social network, Twitter aveva infatti messo al bando tre dei più noti promotori di QAnon: l’avvocato Sidney Powell, l’ex consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca Mike Flynn e l’attuale proprietario di 8chan/8kun Ron Watkins (che secondo alcuni è proprio la persona che, fingendosi un funzionario di alto rango dei servizi segreti, ha dato vita alla teoria del complotto di QAnon). 

Tutto ciò mostra come la strategia di Jack Dorsey sia più vasta e destinata ad ampliarsi ulteriormente, come conferma lui stesso nella registrazione: “Le mosse che stiamo decidendo oggi, per esempio relativamente a QAnon, sono un esempio dell’approccio molto più ampio che dovremmo prendere in considerazione e approfondire”. Non solo: “La nostra squadra ha molto lavoro da fare e deve concentrarsi su questa particolare questione”, continua Dorsey. “Ma dobbiamo anche dare loro lo spazio e il supporto per focalizzarsi sul quadro più ampio. Perché [questa situazione] non sparirà da un giorno all’altro”.

È evidente come sia in corso un importante cambiamento nell’approccio alla libertà d’espressione da parte piattaforme social, che per lungo tempo hanno mantenuto un profilo neutrale, sottolineando come non fosse loro compito quello di ergersi ad “arbitri della verità”. Per quanto su tutti i social network siano sempre state in vigore delle regole di condotta che, se infrante, potevano portare alla sospensione, mai quanto oggi i principali social network hanno adottato una politica interventista, ammettendo implicitamente il loro fondamentale ruolo politico e sollevando un grande dibattito sul loro potere di silenziare a discrezione dei personaggi pubblici.

“Come sapete, gli Stati Uniti sono estremamente divisi”, ha infatti proseguito Dorsey nella registrazione. “La nostra piattaforma lo mostra ogni giorno. Il nostro ruolo è quindi quello di proteggere l’integrità delle conversazioni e di fare ciò che possiamo affinché nessuno sia danneggiato da queste. È il nostro focus”.