La partita sgranata, il pallone quasi indistinguibile dal campo, l'azione bloccata a metà o addirittura in ritardo di qualche minuto: quando Internet fa cilecca e i disservizi si sommano, il risultato è che non si riesce più a vedere niente o quasi, che si tratti di partite o altro.
Dazn ha sofferto numerosi disservizi nella trasmissione delle partite del primo weekend di campionato, tanto che i presidenti delle squadre di serie A hanno scritto una lettera formale al broadcaster per chiedere conto dell'accaduto e adesso le responsabilità si rimpallano. Ma il malessere è (anche) infrastrutturale. Nel senso che i problemi sono soprattutto nelle Cdn, cioè Content Delivery Network (in italiano, Reti di Distribuzione dei Contenuti), un pugno di società hi-tech sconosciute al grande pubblico che gestiscono dietro le quinte un business digitale molto particolare, dall'importanza capitale per chi come Dazn deve fornire servizi in streaming live attraverso Internet.
Che cosa sono le Cdn
Quello delle Cdn è un business cruciale e delicato, perché gli intoppi, e soprattutto gli intasamenti, fanno la differenza tra riuscire a vedere la partita oppure no. Tanto che, a suo tempo, si era parlato di una rivoluzione degli orari della serie A per consentire di aprire più finestre orarie con le dirette modulate per alleggerire il carico di Dazn, eliminando o riducendo al minimo il rischio di blackout. Ma è tutto inutile se a cedere è la Cdn. Nomi come Akamai, Cloudflare, Netlify e Fastly sono quasi sempre sconosciuti ai più, ma è attraverso di loro che passa Internet ed è quasi sempre loro responsabilità se interi pezzi della Rete diventano irraggiungibili, se per esempio vengono colpite da un attacco hacker o si sconfigurano per un bug, come è successo con siti come Steam, Airbnb, Cnn, Reddit e il New York Times.
A che cosa serve una Cdn
Cosa succede, dunque? La spiegazione in realtà è semplice, ma non si capisce facilmente perché abbiamo in testa il modello sbagliato: l'Internet cui siamo abituati a pensare è molto più semplice di quella reale, che invece è parecchio complicata. Di solito ci immaginiamo che una trasmissione di dati, per esempio l'invio di una foto su Whatsapp, avvenga come una trasmissione fra 3 punti: il telefono di chi spedisce, il server del gestore del servizio (in questo caso WhatsApp, cioè Facebook), poi il telefono di chi riceve il messaggio con l'immagine. Però non è così.
Tanto per cominciare, nel mezzo ci sono i fornitori di connettività: nell’esempio, una o due compagnie telefoniche, che hanno due reti proprietarie molto complesse, con centri di aggregazioni, dorsali, centrali e che sono a loro volta connesse a Internet attraverso dei punti di scambio o Internet Exchange; in Italia uno dei più grandi è il Mix, il Milan Internet Exchange.
La Rete che conosciamo inizia là: negli Exchange ci sono numerosi server di terze parti che si collegano a monte della Internet vera e propria per fornire servizi come il cloud computing. I servizi di cloud sono sostanzialmente servizi di archiviazione ed elaborazione in tempo reale dei dati degli utenti, che avvengono sui server anziché sugli apparecchi degli utilizzatori finali. E poi ci sono le Cdn.
La distanza è importante
Anche se i collegamenti Internet sono rapidissimi e siamo abituati a pensare che un bit possa fare il giro del mondo in qualche frazione di secondo, in realtà la distanza fisica tra l'emittente e il ricevente del messaggio conta eccome.
Conta talmente tanto che negli anni Novanta sono nate le Cdn, le società specializzate nel creare repliche locali dei dati contenuti nei server centrali, per distribuirli meglio e per evitare che si creino disservizi per eccesso di richieste sul server centrale.
Il rischio Denial of Service
Sovraccaricare i server centrali perché molti si collegano contemporaneamente è causato dal successo improvviso di un servizio o di un sito, ma spesso anche da hacker e malintenzionati, che mandano in tilt i server caricandoli con milioni di richieste di connessione in contemporanea. Quando questo succede il server non risponde più: è il cosiddetto Denial of Service (in italiano, Negazione del Servizio), cioè l'equivalente di quando un computer si blocca per il sovraccarico di lavoro.
Distribuire copie dei dati da scaricare in tanti magazzini locali, cioè i server delle Cdn, che poi si occupano di consegnarle agli utenti di una determinata area geografica, è anche un ottimo modo per ridurre la latenza, perché i dati possono essere spostati a seconda del bisogno ottimizzando così il tempo del loro download. Amazon, Microsoft, Apple, Facebook e Google spostano i dati tra i loro datacenter e su quelli dei loro fornitori di servizi cercando di prevedere in quale area geografica si trovino per avvicinarli, riducendo così i tempi di accesso.
Inoltre, le grandi aziende fornitrici di sistemi operativi come Microsoft, Apple e Google caricano sulle Cdn le versioni di aggiornamento dei loro sistemi operativi per evitare che, al momento del rilascio, i server centrali vadano in tilt.
Le Cdn e il video
Gli usi delle Cdn sono moltissimi, e infatti ne esistono di molti tipi diversi. Anche i grandi fornitori di servizi di telefonia mobile hanno realizzato le loro Cdn, che sono di solito riservate ai clienti della propria rete e a servizi a pagamento per conto terzi.
Tuttavia, oggi si è aggiunta una funzione in più: le Cdn sono diventate un bene necessario anche per la distribuzione del video. Da Netflix (che si appoggia a servizi diversi e al suo servizio proprietario) ad Amazon Prime (che sfrutta principalmente gli Amazon Web Services, il più grande fornitore al mondo di cloud computing e servizi di Cdn), fino a YouTube o Apple Tv Plus, che utilizza principalmente Akamai, lo streaming in diretta oppure on-demand non sarebbe possibile senza le Cdn.
Il problema è la topologia delle reti
Se per i servizi come Netflix è relativamente più facile (un film che si avvia con 2-3 secondi di ritardo dopo non è un problema), per le partite o le altre trasmissioni è necessario uno sforzo molto complesso. La Cdn che gestisce il servizio deve ricevere la trasmissione e ridistribuirla verso gli utenti con connessioni negli Exchange ben dimensionate.
Tuttavia, le Cdn funzionano bene soprattutto a livello planetario o continentale, ma se il servizio dev’essere erogato in un singolo Paese, come l'Italia, il rischio è di non avere a disposizione un numero sufficientemente elevato di punti di presenza con gli Exchange.
Infine, a valle degli Exchange, conta ovviamente moltissimo la topologia della rete degli operatori che porteranno poi i dati fisicamente sino agli utenti finali: sono presenti negli stessi Exchange della Cdn? La rete è capace di reggere il carico di dati spinti dalla Cdn? Gli snodi di trasmissione degli operatori sono strutturati in maniera corretta rispetto alla disposizione degli utenti?
Bisogna potenziare le reti
A fine estate, molti sono ancora nelle località di vacanza, dove di solito le connessioni sono diventate ad alta velocità, ma purtroppo sono anche a bassa capacità, cioè non possono supportare molte connessioni in parallelo.
Durante l'inverno, invece, le persone tornano in città e in quelle più grandi c'è un consumo strutturale di banda maggiore. Per esempio, con l'avvio del 5G (il servizio di telefonia mobile che potenzia la trasmissione dati, ma consuma anche molta più banda) non è detto che le reti a terra siano effettivamente all'altezza del carico, se si aggiunge anche quello degli streaming.
Il problema, insomma, è infrastrutturale e le Cdn sono la parte più esposta, ma la realtà è che Internet è complicata e un servizio di streaming prevede una grande maturità in tutti i segmenti che la compongono. Cosa che nel nostro Paese ancora non c’è.