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Le imprese italiane in prima fila per Cloud e IoT, ma arrancano su ecommerce e intelligenza artificiale

Le imprese italiane in prima fila per Cloud e IoT, ma arrancano su ecommerce e intelligenza artificiale
Pubblicato il rapporto Imprese e ICT curato dall’Istat: il nostro Paese ha un livello di alfabetizzazione digitale superiore alla media UE, però con forti differenze tra le varie tecnologie adottate
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Il 60,3% delle imprese italiane con almeno dieci dipendenti ha raggiunto come minimo un livello di intensità digitale definito “di base”, contro il 56% della media Ue. Cloud e Internet of Things (IoT) sono le tecnologie nel cui uso l’Italia si distingue, ecommerce e Intelligenza artificiale (AI) sono strumenti visti ancora con diffidenza. Questo il ritratto disegnato dal rapporto Imprese e ICT curato dall’Istat e basato su un campione di 19.266 aziende interpellate a cavallo tra i mesi di maggio e luglio del 2021.

Una lettura di superficie permette di estrarre tre dati importanti: il primo è che il 39,7% delle imprese nazionali con almeno dieci addetti è al di sotto del livello minimo di digitalizzazione il quale non prevede né grosse evoluzioni tecnologiche né investimenti ingenti: per raggiungerlo sono sufficienti quattro dei 12 requisiti riportati nel grafico sotto. Va tenuto in considerazione anche il target europeo di digitalizzazione delle imprese, secondo il quale, entro il 2030, il 90% delle aziende dovrebbero avere ottimizzato l’uso delle tecnologie. L’Italia è quindi ancora lontana dal traguardo e lo è ancora di più se si considera che, soltanto il 20% delle imprese italiane con almeno 10 dipendenti, ha raggiunto un livello di digitalizzazione medio-alto (7 dei 12 requisiti).

Il terzo è che - nonostante la pandemia - le aziende dedite alla vendita online sono aumentate in modo appena percettibile (dato peraltro in linea con la media Ue27).

 

Cloud e social media

Il 52% delle imprese italiane utilizza risorse Cloud di livello intermedio o sofisticato. La media Ue27 è del 35%. L’ampio ricorso al Cloud spiega almeno in parte il crollo fatto registrare dalle soluzioni ERP (Enterprise Resource Planning) per la condivisione di informazioni le quali, nel corso del 2021, sono state scelte da 32 aziende su cento, contro il 37% del 2020. Lo stravolgimento delle pianificazioni aziendali, dovuto anche alle clausure e allo smartworking, ha certamente inficiato sul minore impiego di ERP le cui funzioni vengono incluse in alcune soluzioni Cloud.

Allo stesso modo, durante il 2021, sono aumentate in modo sensibile le aziende che usano almeno due canali social, salite al 27% contro il 22% dell’anno precedente.

 

Internet of Things

Nel 2021 le aziende in Italia con almeno 10 dipendenti che hanno fatto uso di uno o più dispositivi IoT erano il 32,3% (la media Ue era del 29%).

Informazione questa che va scandagliata. Più che per la produzione, l’IoT è strumento utilizzato per i sistemi di allarme smart e per il monitoraggio del parco veicoli. Un’altra considerazione: c’è un abisso tra le grandi aziende e le Pmi: l’IoT ha fatto breccia nel 59% delle prime e soltanto nel 30,5% delle seconde. Ma, è bene ribadirlo, in Italia i dispositivi IoT sono più adottati nella gestione d’impresa che nella produzione aziendale. La diffusione di dispositivi intelligenti, al di là del loro scopo, posiziona l’Italia all’ottavo posto della graduatoria europea.

 

Le noti dolenti dell’ecommerce

I dati relativi all’ecommerce, che risalgono al 2020, vanno osservati sotto la lente del Covid-19. I numeri sono in crescita, ma vanno contestualizzati. Le clausure del 2020 hanno spinto gli italiani verso l’ecommerce, nonostante ciò soltanto il 17,9% delle Pmi nostrane ha un canale di vendita online, in aumento del 2% rispetto al 2019 ma ben al di sotto della media Ue27 (23%). Anche in questo caso le grandi aziende hanno un altro passo: quelle che vendono online sono il 44,5% (contro il 40,2% del 2019). I settori più attivi nella vendita online sono quello ricettivo (83,7%), quello dell’editoria (73,1%) e delle agenzie di viaggio (47,8%). Fa riflettere che, nell’arco di tempo che copre le clausure totali e parziali, le imprese di commercio al dettaglio e all’ingrosso che si sono avvalse di canali di vendita online sono state il 30,8% e quelle dedite alla ristorazione sono state una su quattro (24,8%).

Scendendo più in dettaglio si osserva che le crescite più marcate si sono registrate nella ristorazione (24,8% nel 2020 contro il 10,3% nel 2019) e nel comparto audio e video (22,5% contro il 9,6% del 2019). Il commercio al dettaglio ha fatto registrare una crescita di 9 punti percentuali (30,8% nel 2020 contro il 21,8 del 2019). Tutti settori in cui è possibile riconoscere l’impronta della pandemia e la necessità degli italiani di soddisfare i propri bisogni nonostante le serrate.

 

Intelligenza Artificiale

Le aziende che ricorrono all’AI sono il 6,2% (la media Ue27 è dell’8%). A farne maggiormente uso sono le imprese attive nelle comunicazioni (18,1%), nell’informatica (16,9%) e nella fabbricazione di prodotti elettronici (15,7%). Le tecnologie AI sono utilizzate soprattutto per il riconoscimento del testo (37,9%), il riconoscimento vocale (30,7%) e l’automatizzazione dei flussi di lavoro (30,5%). I comparti in cui si fa maggiormente ricorso all’AI sono il terziario con il 44% (dove però viene impiegata soprattutto per ottenere informazioni da documenti di testo) e il secondario con il 39%, laddove viene impiegata nei processi produttivi. Gli utilizzi specifici vanno dalla produzione propriamente detta (31,8%) alla sicurezza informatica (26,6) e dall’assistenza ai clienti (24%) fino alle previsioni di vendite o investimenti (21,6%).

 

Il Digital Index

In Europa la transizione digitale viene mappata e misurata attraverso parametri orizzontali che comprendono le infrastrutture abilitanti e l’adozione delle tecnologie da parte di privati, aziende e amministrazioni pubbliche. Per questo, a partire dal 2015, è stato adottato l’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società (Desi). Il Digital Index, misurato dall’Istat, è uno dei quattro strumenti utilizzati dal Desi. L’edizione 2021 del Digital Index, prodotta sui dati relativi al 2020, mostra l’assenza in Italia di un elevato livello di digitalizzazione. Essere presenti online e curare dei canali social ha certamente una sua utilità, ma non basta per raggiungere un livello avanzato di adozione tecnologica.

Il grafico sopra riporta dodici indicatori utilizzati per riconoscere le aree nelle quali le aziende italiane possono migliorare l’approccio alla digitalizzazione. Per rientrare nella categoria della digitalizzazione di base basta soddisfare quattro di questi dodici indici. Ne risulta che il 60,8% delle imprese con almeno dieci dipendenti ha un livello base di digitalizzazione e, per cristallizzare questa realtà, è utile sottolineare che in queste imprese lavorano 78 cittadini attivi su 100. In altri termini si può osservare che, a più di tre quarti dei lavoratori, bastano competenze tecnologiche di base per svolgere onorevolmente le proprie mansioni professionali.

 

Conclusioni

Il collo di bottiglia in Italia è rappresentato dalle Pmi, le meno attive su tutti i 12 indicatori presi in esame. Se è indiscutibile che una Pmi può avere meno risorse da dedicare alla digitalizzazione rispetto alle aziende di grandi dimensioni, è altrettanto vero che in Italia il macro-comparto delle piccole e medie imprese impiega il 33,2% dei lavoratori e contribuiscono per il 38,9% al valore aggiunto della produzione del Paese.