Un italiano su quattro dichiara di sapere cos’è il metaverso. Principalmente è uomo, ha meno di 34 anni e un alto livello di scolarizzazione. Il 41% ne ha solo sentito parlare e uno su tre non sa di cosa si tratti. Il 62% degli italiani si dichiara interessato al metaverso, soprattutto per la possibilità che offre di superare i limiti fisici, ma non mancano i timori che diventi uno strumento di “fuga dalla realtà”. Sono alcuni degli elementi che emergono da una ricerca di Sensemakers, mirata a valutare il livello di conoscenza, percezioni e aspettative legate al mondo virtuale.

"Non ci aspettavamo una differenza così marcata tra uomini e donne. Influisce probabilmente il fatto che il primo canale di accesso al metaverso è rappresentato dai videogiochi, che hanno una maggiore diffusione tra gli uomini, ma è anche una questione d’approccio: le donne sono sicuramente più pragmatiche – spiega Fabrizio Angelini, Ceo di Sensemakers –. È soprattutto il dato legato al livello di scolarizzazione a dare indicazioni da non trascurare: i soggetti con un livello di istruzione inferiore, non solo lo conoscono poco, ma non sono nemmeno interessate e questo vale anche per i più giovani". Ne emerge un potenziale rischio: che il metaverso diventi un amplificatore delle diseguaglianze, un nuovo elemento di “digital divide”, soprattutto in quei paesi meno evoluti da un punto di vista tecnologico, con infrastrutture non adeguate e un’età media elevata della popolazione. "L’indicazione che possiamo trarre è che oltre che essere sviluppato, il metaverso deve essere accompagnato, gestito, spiegato bene, per non lasciare nessuno indietro".
Altro elemento interessante, che influisce sulla conoscenza del metaverso, è la presenza di figli adolescenti o preadolescenti: i ragazzi diventano il canale di apprendimento (di nuovo, principalmente attraverso il gaming) o lo stimolo a informarsi sul mondo (virtuale) che appartiene ai figli.
Il settore immobiliare entra nel metaverso

Come viene visto il metaverso
La definizione di metaverso in cui si ritrova la maggioranza del campione è: “Una realtà parallela e digitalizzata in cui svolgere le stesse attività della vita reale e in cui i mezzi digitali aumentano capacità ed esperienze influenzando la vita reale”.
Dalla ricerca emerge che non viene visto come luogo dello svago e dell’intrattenimento, ma piuttosto come un posto dove svolgere attività legate alla vita reale, dalle riunioni agli acquisti, con impatti sulla vita reale. «Per questo motivo si richiedono norme e regole più stringenti di quanto avviene nel web 2.0 – commenta Angelini –. E il 35% del campione ritiene che le regole e i codici di comportamento dovranno essere fissati dagli stessi organismi pubblici della vita reale». C’è poi un 28% che ritiene che le regole debbano essere decise dalle comunità degli utenti e un 23% che pensa saranno stabilite dalle società tecnologiche, che creano gli ambienti virtuali.

Il ruolo delle aziende nel metaverso
"Il fenomeno sembra ormai “too big to fail”, però forse è arrivato un po’ in anticipo, risponde a dei bisogni non ancora diffusi. È un po’ come se vent’anni fa avessimo fatto lo stesso sondaggio sugli schermi touch, sarebbero stati percepiti come irrinunciabili? – si chiede Fabrizio Angelini –. Non c’è ancora una forte spinta dal basso, però le aziende stanno investendo significativamente nel metaverso, che diventea così una sorta di profezia che si auto avvera. Resta da capire se le aziende seguono una moda o se si sono chieste se stanno davvero rispondendo a un effettivo bisogno".

E forse pandemia e guerra, problemi che impattano nel mondo reale, hanno rallentato un po’ la corsa. C’è una maggiore richiesta di concretezza: il 44% del campione ritiene che “sarebbe meglio le aziende investissero su cose reali e per risolvere i veri problemi”. Posizione simile ha manifestato Scott Galloway, professore di marketing alla Stern School of Business di New York, che pochi mesi fa ha criticato pesantemente il metaverso, invitando le Big Tech ad occuparsi di questione più concrete.

Interessante anche notare le tipologie di aziende che secondo il campione avrebbero maggiore successo nel metaverso. Al primo posto (secondo il 49% degli intervistati) i Social Network, si tratta soprattutto dei più giovani, che vedono la realtà virtuale come uno spazio di incontro e interazione con gli altri. Sul secondo gradino del podio i produttori di device tecnologici (42%, che rappresenta un campione più maturo) e al terzo posto le società di giochi on-line (41%).
"Semplificando, potremmo dire che per i giovani vince l’elemento software, per i meno giovani prevale l’hardware – chiosa Angelini –. Resta da capire quale sarà il tipo di interazione tra utente e realtà virtuale. Dal racconto che viene fatto sembra che ci si debba immergere nel metaverso per tutta la giornata: indossi i visori al mattino e li togli solo per mangiare". In fondo, il 31% non percepisce i device, visori o altri strumenti, come una barriera all’accesso e il 50% ritiene che dipenderà “dall’invasività del device e da quanto si diffonderà l’utilizzo del metaverso”.
Non mancano però le consapevolezze dei rischi, a partire dal timore di un eccessivo potere in mano alle società tecnologiche, a discapito delle istituzioni della vita reale (43% degli intervistati).

Opportunità e rischi
Dal campione intervistato emerge che alle opportunità del metaverso corrispondono altrettante preoccupazioni e potenziali rischi, in alcuni casi speculari le une alle altre.
Tra i vantaggi, spicca al primo posto, con il 37%, la possibilità di “vivere tante esperienze diverse”, seguito dal garantire “socialità e incontri anche tra persone fisicamente distanti”. C’è chi pensa che “aiuterebbe a sentirsi meno isolati” (19%) e chi sostiene che “garantirebbe uguaglianza e stesse opportunità per persone con diverso livello economico” (17%). La risposta specularmente contraria, tra i rischi associati al metaverso, ha però totalizzato un 19%, evidenziando la preoccupazione che la realtà virtuale possa diventare un amplificatore di diseguaglianze. Interrogato sulle opportunità del mondo virtuale, c’è poi un 19% che non pensa ce ne siano.
Al primo posto tra i rischi, con l’80% delle risposte, quello di “rifugiarsi nel metaverso per scappare dalla realtà, trascorrendovi troppo tempo e perdendo di vista determinati obiettivi di vita (scuola, sport, relazioni sociali)”. Inoltre, un 27% evidenzia i pericoli correlati alla condivisione di informazioni personali online e i rischi di invasione della privacy. Solo il 4% del campione ritiene che il metaverso sia esente da rischi.