Il metaverso è agli albori, eppure è già alle prese con tante aspettative quante ne nutrono gli attori che lo animano: fra questi c’è DXC Technology, azienda nata nel 2017 dalla fusione tra HP Enterprise Services e Computer Sciences Corporation, un gigante del mercato delle soluzioni ICT di alta fascia presente in oltre 70 Paesi (Italia compresa) che impiega 130mila persone e che nel 2021 ha fatturato 17,7 miliardi di dollari.

Lavorare nel metaverso
Nathalie Vancluysen, global extended reality leader di DXC Technology, ha rilanciato il tema dell’home office, quel lavoro in remoto che molti hanno sperimentato durante le chiusure imposte dal coronavirus, una fase che avrebbe spinto il 74% delle aziende a rivedere le proprie politiche sul lavoro in presenza. Ciò che serve, nell’interpretazione di DXC Technology, è un più alto grado di coinvolgimento dei dipendenti e degli strumenti, così da aumentare le possibilità di collaborazione online.
Queste considerazioni, unite ai benefici immediatamente visibili del lavorare nel metaverso, spingono ad alcune valutazioni, pratiche e più astratte.
Nell’elencare i vantaggi del lavoro svolto nel metaverso, gli elementi pratici saltano subito all’occhio: minori costi per le aziende, tra spazi fisici più contenuti, minori spese accessorie e minori costi di gestione. Uffici meno ampi, minori necessità di viaggi professionali e persino la possibilità di invitare migliaia di clienti a eventi organizzati online, con ricadute positive anche sull’ambiente. Dall’altra parte, i vantaggi astratti rischiano però di essere macigni che occludono le vie del metaverso: oltre ai contraccolpi psicologici che possono interessare chi lavora da remoto (come senso di solitudine e isolamento), sono necessarie tecnologie che promuovano la condivisione delle conoscenze professionali dei singoli, che garantiscano la pluralità delle opinioni dei dipendenti e che consentano la (quasi) medesima inclusività che l’ufficio fisico permette.
DXC ha individuato dei punti chiave che comprendono applicazioni in 3D accessibili via browser, la formazione continua dei dipendenti e, non da ultimo, un supporto tecnico rapido ed efficace che riesca a risolvere le necessità dei lavoratori meno avvezzi all’uso di sistemi virtuali.
Sono i dipendenti stessi a chiederlo e, secondo i dati in possesso di DXC Technology, i lavoratori del futuro lo chiederanno con maggiore insistenza: l’80% della generazione Z (cioè le persone nate tra 1995 e 2010) immagina un futuro professionale abilitato da tecnologie di alto livello.
Un sondaggio che DXC ha svolto tra i suoi collaboratori dell’area Emea (la sigia sta per Europa, Medio Oriente e Africa) ha dato risultati che puntano verso l’uso del metaverso: per un dipendente su quattro diventa un parametro in base al quale scegliere per quale azienda lavorare e l’88% del campione ha apertamente chiesto a DXC di investire il più possibile nella virtualizzazione degli ambienti di lavoro.
Tra i problemi ostici da risolvere c’è quello della sicurezza, come sottolineato da Mark Hughes, global security leader di DXC. Nel metaverso il dipendente assume i panni di un avatar, dunque occorre un controllo dell’identità di ognuno. Privacy e sicurezza dei dati devono essere portate ai livelli massimi che la tecnologia permette di raggiungere e, in senso più generale, occorre tenere conto delle tante minacce informatiche cui sono esposti i dispositivi utilizzati dai dipendenti. Computer e dispositivi mobili che non sono più fisicamente tra le mura aziendali e la cui manutenzione (tra aggiornamenti software e politiche di accesso alle risorse aziendali) dovrebbe essere svolta in modo periodico e automatico, senza l’intervento del collaboratore. La regola è semplice soltanto sulla carta: la sicurezza IT deve essere uno strato del metaverso e non può essere intesa come qualcosa di parallelo. Dirlo è un conto, metterlo in pratica è un altro. Ma sono appunto questi i problemi reali che vanno risolti.
La scelta di DXC
DXC ha presentato la sua visione attraverso la piattaforma Virbela, pensata per rivoluzionare il mondo del lavoro. Si tratta di un mondo virtuale in cui trovano spazio uffici, centri commerciali, case, strade, teatri, spiagge e specchi d’acqua con tanto di navi ormeggiate. Interamente parametrizzabile, consente di creare gruppi (nel caso specifico, gli invitati alla presentazione) e di interagire con gli avatar, ossia i partecipanti.
Interazione che può avvenire mediante la voce o chat di gruppo e private, con gli avatar che godono di libertà di movimento e che possono fare trapelare stati di confusione e di apprezzamento, che possono stringersi la mano tra di loro, applaudire e persino ballare. DXC ha proiettato alcune slide sui display virtuali, e usando lo zoom i partecipanti hanno potuto concentrarsi sui dettagli per loro più rilevanti. Tutto interessante e bello, ma forse ancora poco funzionale.

La prova
Per sedare la fretta dei più curiosi, diciamo subito che comunque il risultato ci è parso positivo. Questo però non corrisponde a una soddisfazione piena: al di là della grafica piacevole (ma perfettibile), i pc impiegati per sfruttare la piattaforma hanno bisogno di una certa dotazione hardware. Il client, ovvero il software che occorre installare per usare gli spazi virtuali offerti da Virbela è esoso: consuma 1,2 Gb di Ram subito dopo averlo avviato e impiega il processore in ragione del 30% circa (la cpu usata è una AMD A12 di settima generazione da 3.8 GHz, la gpu è invece una Radeon R7). Questo toglie ossigeno e rapidità alle altre applicazioni e teoricamente utilizzabili in contemporanea, come per esempio un browser e un editor di testi. Non uno scoglio insuperabile, ma una necessità che può corrispondere con un deciso svecchiamento del parco hardware delle aziende.
La strada è lunga, e anche se gli sforzi di Virbela vanno nella giusta direzione, ci sono ancora problemi che le aziende devono risolvere prima di approdare al metaverso: il percorso è irto e non privo di ostacoli, un po’ come scalare una montagna. Ma una volta in cima il panorama ripaga di ogni fatica.