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Un sito non funzionale non è meglio di niente

Un sito non funzionale non è meglio di niente
Cronaca di un’iscrizione a una piattaforma del Ministero per seguire un corso di formazione online. Ed è qui che inizia il calvario
2 minuti di lettura

Come tutti gli anni da quando vivo a Bruxelles, per le vacanze di Natale sono tornato in Italia per passare un po’ di tempo con i miei genitori. Quando sono a casa, ma anche il resto dell’anno a dire il vero, mia madre ne approfitta per risolvere alcune sfide rimaste in sospeso tra lei e il computer. La verità è che le mie digital skills sono piuttosto nella media per la mia generazione ma per lei io sono Steve Jobs.
Mia madre è un’insegnante e, nonostante una certa avversione alla tecnologia, da quando lavora nella scuola ha dovuto imparare a venirci a patti. Ed è così che da anni, come penso molti miei coetanei, sono diventato l’operatore da chiamare quando bisogna convertire un .doc in .pdf. e altre amenità. Per fare queste piccole operazioni normalmente mi bastano dieci minuti grazie all’aiuto di un software che permette di operare a distanza sul suo computer e risolvere ogni incombenza.

Non solo una questione di digital skills

Tutto facilmente gestibile dunque finchè a novembre, in seguito ad un viaggio di lavoro in Italia, ne approfitto per allungarmi a casa. La sorpresa di mia madre nel vedermi suonare alla porta era doppia perché da giorni non riusciva a venire a capo dell’ennesimo rompicapo digitale: l’iscrizione a una piattaforma del Ministero per seguire un corso di formazione online. Ed è qui che inizia il calvario. Scopro che gli insegnanti non hanno una sola e-mail ufficiale con cui dialogare con i servizi che li riguardano ma almeno quattro. Una personale, una della scuola, una del Miur vecchia e una del Miur nuova. Cercando di entrare nella casella e-mail utile all’iscrizione scopro che se qualcosa va storto, come banalmente l’inserimento errato della password, non compare nessun messaggio che spieghi perché il login non è stato possibile così come non esiste un pulsante per chiedere il reset della password. Un silenzio assordante.


Dopo un’ora di inutili tentativi per venirne a capo chiamiamo una sua collega che si era già iscritta, dopo altrettanti fallimentari tentativi, e che ci svela uno dei primi arcani che ci permette di proseguire in quello che da sciocchezza si è trasformato in un film horror. Riusciamo ad accedere all'e-mail richiesta per l’iscrizione alla piattaforma per scoprire che ha un'interfaccia dei primi anni 2000. Neanche l’interfaccia della piattaforma in questione è molto chiara e la sua usabilità lascia molto a desiderare. Nel frattempo sono passate tre ore in cui si sono alternate frustrazione, speranza, consolazione, desiderio irrefrenabile di scaraventare il personal computer dalla finestra, rassegnazione.

Ieri, mentre seguiva una di queste formazioni, il sistema non le permetteva di accedere al modulo successivo. Nuova chiamata al collega “smart” che ci ha “tranquillizzati” dicendo che era successo anche a lui e che aveva già inviato una e-mail al servizio di assistenza. Dunque altre chiamate, e-mail, tempo perso.
A questo punto ho pensato alle ore che mia madre e i suoi colleghi (nonché i rispettivi figli/nipoti smart) perdono ogni mese per cercare di capire come adempiere il proprio sacro compito di insegnanti. Da questo episodio mia mamma ha guadagnato “cento punti santità” che si sono aggiunti ai numerosi guadagnati col tempo sul campo, a casa e a scuola.

Un sito non funzionale non è meglio di niente

Da qui un appello doveroso al Governo e in particolare ai Ministeri dell’Istruzione, dell’Innovazione e della Pubblica Amministrazione. In gioco non c’è “solo” il tempo perso di milioni di persone che fanno già un lavoro non sufficientemente riconosciuto e retribuito, ma la frustrazione unita al crescere di un sentimento di ostilità verso la tecnologia, quando questa complica i processi invece di semplificarli. Ora che ci sono i fondi europei per la digitalizzazione, si pensi non solo a digitalizzare la PA ma a farlo con l’obiettivo che sia un piacere navigarci dentro. Che siano fatti test con gli utenti per provare soluzioni diverse, che UI e UX designer siano inclusi nella progettazione per il bene di tutti i cittadini e, che non guasta, della mia futura sanità mentale.

Se poi tutto dovesse andare storto, per favore, almeno invitate Salvatore Aranzulla ad aprire una sezione specifica “Come fare per…se neanche il tuo collega sa cosa fare per”.