Pubblichiamo per intero l'intervento del professor Arije Antinori alla tavola rotonda “L'ECO DELLA VIOLENZA Un anno dopo l'assalto a Capitol Hill”, organizzata dalla European Foundation for Democracy con La Stampa.
L'estremismo violento e il terrorismo online costituiscono sicuramente una delle priorità in termini di sicurezza, tanto per gli USA quanto per l'Europa e, in senso più ampio, per ogni cittadino interconnesso con il suo device mobile a livello globale. Per quanto concerne lo scenario statunitense, che osservo con continuità sin dalla proiezione digitale dei gruppi tradizionali, la situazione appare particolarmente interessante e preoccupante. Interessante perché in un contesto dove i media hanno avuto da sempre una notevole centralità, si possono oggi individuare dinamiche di mutamento, evoluzione e ibridazione che producono nuovi attori, nuovi metalinguaggi, nuovi modelli/strategie di aggregazione sociale, partecipazione e militanza, nonché di costruzione e propagazione della violenza, quindi di distrazione, engagement, distorsione percettiva e sociocognitiva. Di preoccupante c'è sicuramente l'elevata orizzontalità della minaccia grazie all'ampia diffusione nelle piattaforme social, il livello della violenza veicolata online, nonostante sia trascorso un anno dal 6 gennaio 2021, il giorno dell'assalto a Capitol Hill.
Nell'ecosistema (cyber-)sociale, perché oggi dobbiamo chiamare così ciò in cui siamo immersi quotidianamente, ossia internet e i social media, non ci limitiamo più a scambiare informazioni come all'inizio del secolo, ma partecipiamo in prima persona vivendo e condividendo esperienza - un nuovo tipo di esperienza umana - in cui i processi di costruzione identitaria prendono vita dando forma anche a fenomeni estremamente violenti e distruttivi come quelli di cui stiamo parlando. Vi è, inoltre, da considerare che questo avviene lungo il cammino dell'umanità che ci sta conducendo allo scenario Onlife, come ha sapientemente definito il filosofo Luciano Floridi.
Un cambio di prospettiva
Tutto ciò implica, in termini di sicurezza, pubblica ma soprattutto nazionale, sul piano dell'analisi ai fini della prevenzione, contrasto e anticipazione di tali minacce, un cambio di prospettiva in cui l'approccio tradizionale, che affonda inevitabilmente le sue radici nel mondo analogico, deve essere integrato nel mondo cyber con strumenti, metodologie e tecniche, non solo di natura tecnologico-computazionale, ma tecnosociale, anzi oggi assolutamente (cyber-)sociale. Quindi, ad esempio, attraverso lo sviluppo di competenze ibride derivanti dalla messa a sistema, nell'osservazione e studio del medesimo target informativo, di tutto ciò che comunemente attiene alla cybersecurity, unitamente alla psicologia, sociologia e antropologia. Mai come nello scenario in cui tutti noi stiamo vivendo, tra l'altro sistemicamente compromesso dalla pandemia, occorre esplorare, conoscere e comprendere in maniera approfondita la natura, l'essenza identitaria, le direttrici strategiche, le determinazioni tattiche, i modi operandi, non solo sul territorio, delle entità ostili nelle loro innumerevoli forme e configurazioni, siano esse simmetriche, asimmetriche o proxy.
I movimenti "connettivi", che nascono attraverso l'esperienza (cyber-)sociale, rappresentano uno dei principali elementi di novità nell'estremismo violento, nelle sue numerose matrici ideologiche e pseudo-ideologiche, a livello globale. Essi costituiscono l'humus del cognitive warfare, delle campagne e degli attacchi cognitivi, sempre più sociocognitivi - cui tutti noi in quanto cittadini interconnessi e "social" siamo potenzialmente esposti ogni giorno nella nostra routine quotidiana -, volti a weaponizzare la cittadinanza, alimentare il conflitto socioculturale, avvelenare il confronto politico e destabilizzare dall'interno le democrazie occidentali. Le campagne e gli attacchi cognitivi sono in grado di ridefinire la realtà agli occhi dell'individuo connesso, sfruttando le sue vulnerabilità e quelle connettivo-relazionali della propria sfera (cyber-)sociale. La minaccia dei movimenti connettivi estremistico-violenti può assumere, come in particolare ma non solo l'esperienza americana insegna, una dimensione al contempo interna - data la natura degli attori - ed esterna in termini di sicurezza, poiché possono essere creati, innescati, usati, incentivati, facilitati, supportati in modo più o meno eteroguidato da soggetti esteri. Da qui è evidente l'elevato rischio che tale fenomeno rappresenta per la sicurezza nazionale.
Le sfide
Disinformazione, misinformazione, engagement tramite il following, radicalizzazione violenta e informazionale sono soltanto alcune delle sfide cui, tanto le forze di polizia quanto quelle armate e il Sistema di informazione per la sicurezza, secondo le relative competenze - ma in uno scenario cyber di evidente convergenza sovrapposizione, ibridazione e liquidità delle minacce e delle vulnerabilità - sono chiamati ad operare con la massima attenzione e capacità non solo operativa ma in primis conoscitiva. Considerare i memi come un fatto culturale meramente legato agli adolescenti e/o alla goliardia social, se non addirittura qualcosa di digitalmente folkloristico e irrilevante, significa non comprendere quanto il memetic warfare rappresenti oggi una delle armi ibride più efficaci, grazie alla sua accessibilità, polisemia, elevata diffusività e soprattutto ambiguità che rende il meme estremistico-violento per lo più praticamente non identificabile e non discernibile dai sistemi automatizzati.
Ritengo inconcepibile sentir parlare ancora oggi di social network invece di social mobile media, di social indipendenti invece che di una moltitudine di piattaforme, tra l'altro oggi sempre più decentralizzate, e di propaganda di massa invece che di "propulsione" globale individualizzata. Queste sono differenze semantiche che indicano la capacità di saper leggere dentro alle cose. Qualità imprescindibile per la cybersicurezza di uno Stato e indispensabile per garantire la sopravvivenza della comunità nella complessità del presente-futuro.
Tornando allo scenario statunitense, ad esempio, quando si osserva il cospirazionismo, da sempre presente, occorre distinguere gli attori tradizionali da ciò che ho inteso definire "cospireazionesimo" che si differenzia dal primo per la profonda radice nell'evangelismo militante, per la propaganda e ricorso familiarizzato alle armi come strumento di (liber-)azione dal Male.
Nell'infosfera estremistico-violenta americana si evidenzia anche una convergenza sull'antisemitismo da parte della Supremazia Bianca, del neonazismo e dei cosiddetti "Patriots", ma anche da parte del fronte di contrasto al vaccino, precisando che qui è ben visibile la presenza di due distinte entità, quella No-Vax e quella Anti-Vax. Si osserva la gemmazione di nuovi pseudo-culti che professano il caos e la distruttività, così come esoterismi attraverso cui si ricodifica l'anarchismo violento, ma anche un nuovo autoritarismo che, prescindendo dall'ideologia, ne riconosce le figure iconiche come Trump e Putin. Si assiste, inoltre, alla convergenza degli opposti estremismi (della dicotomia novecentesca) che non si sostanzia come nel passato nell'accelerazionismo. Emergono nuovi attori del nichilismo distruttivo o antisistemici come il fronte No-Fed, di ispirazione miliziana, che rifiuta qualsiasi tipo di autorità federale.
La centralità del meme
Il meme è il grande protagonista dell'infosfera pro-Trump, che dopo il deplatforming subito nel corso dell'assalto a Capitol Hill, ha dato vita ad un vasto universo (cyber-)sociale che interconnette tra gli altri, web tv, radio locali, messaging criptato, canali YouTube e servizi di cloud storage. Il nucleo centrale di ciò è rappresentato da una triade di piattaforme social, celebrate dagli iscritti, come unico spazio in cui si rispettino concretamente il Primo e il Secondo Emendamento. Qui il meme consente di sollecitare l'interesse, di ingaggiare e aggregare tra di loro soggetti provenienti da mondi diversi, che si riconoscono in distinti assetti subculturali, appartenenti a cluster di età diversificati e soprattutto caratterizzati da vari livelli di consapevolezza e di capacità tattico-militare. Altro elemento di assoluta novità è il fatto che all'interno di tali piattaforme si costruisca concretamente la politica, si strutturi l'elettorato attraverso la (cyber-)socializzazione memetica tra politici repubblicani ed elettorato, consentendo così il riconoscimento reciproco nell'adozione di un metalinguaggio violento e sempre più visuale, non configurabile grazie all'ambiguità, come "fighting words".
In questo modo l'infosfera estremistico-violenta diviene il metaterreno dell'overlapping radicalizzante, ossia, della dinamica che interessa quei soggetti in cui si riscontra la sovrapposizione di più livelli di ideologie e pseudo-ideologie violente. Ciò costituisce un'ulteriore evoluzione della minaccia estremistica tradizionale che porrà in prospettiva non poche criticità in termini di sicurezza, favorendo la trasformazione di singoli eventi, prima in fenomeno e poi in "cultura".
La dirompenza del following nel terrorismo jihadista e l'esperienza del Daesh come espressione evolutiva (cyber-)socializzata dello stesso, attraverso la mediamorfosi, sta ancora oggi mostrandoci quanto sia difficile non solo fermare, ma addirittura mitigare e contenere l'efficacia e l'impatto distruttivo di tali processi. I due fenomeni non sono uguali, ma vivono nello stesso ecosistema connettivo, si condizionano a vicenda, producendo mutamento tecnosociale che impatta sulle audience, sui modelli sociorelazionali, sullo state of mind e sui comportamenti violenti eterodiretti.
Dobbiamo imparare, guardare oltre, anzi altrove, al di là delle singole manifestazioni violente, dei singoli contenuti mediali sempre più accattivanti, al di là dello "schiacciamento" tattico cui inevitabilmente la tecnologia con la sua velocità di sviluppo, ci porta. L'utilizzo più o meno lineare di sofisticati cybersecurity tools di risposta reattiva deve essere connesso a prospettive di analisi strategica, di contesto e di scenario, sempre più multidimensionali e multidisciplinari. Solo così sarà possibile strutturare un'adeguata anticipazione dell'evoluzione delle minacce in questione, strategia essenziale per governare la sicurezza nella crescente complessità di questo secolo.
Non è un caso l'istituzione, sia per la forma che per la sostanza, in questi giorni della Swedish Psychological Defence Agency. Se ciò rappresenta, infatti, un interessante punto di partenza, da osservare e su cui riflettere, nell'ottica della centralità del paradigma della sicurezza (cyber-)sociale - come ebbi già modo di concettualizzare nel 2018 all'interno del Libro Bianco sulla Cybersecurity -, non costituisce sicuramente la soluzione definitiva del problema.
Occorre, dunque, affrontare con grande competenza e attenzione le minacce in questione, tenendo imprescindibilmente in considerazione il ruolo geostrategico dell'Italia nel Mediterraneo, nella NATO e in modo più ampio nei sistemi di relazioni transatlantiche e MENA, che quindi rende, e renderà sempre più, nel vicino futuro, il nostro Paese uno dei target privilegiati nell'ecosistema (cyber-)sociale, in termini di sicurezza nazionale.
* Professore di Criminologia e Sociologia della Devianza presso la “Sapienza” Università di Roma e senior Analyst di European Foundation for Democracy