Quando le donne con il fagotto portavano le maglie fino a Carpi
Capita di leggere un titolo come “Pazzi per gli hobby della nonna” e il cronista vostro ha la reazione d’epoca prevedibile da lui: ma quali hobby (loro avrebbero detto passatempi) avranno mai avuto le mie nonne, che erano soltanto due?
di Renzo Dall'AraCapita di leggere (carta stampata) un titolo come “Pazzi per gli hobby della nonna” e il cronista vostro ha la reazione d’epoca prevedibile da lui: ma quali hobby (loro avrebbero detto passatempi) avranno mai avuto le mie nonne, che erano soltanto due? La risposta veniva subito dall’articolo: la nonna 2016 fa divertire con i lavori a maglia, uncinetto, ricamo che, notate bene, sono “sempre più trendy”, dunque alla moda, al punto da essere accolti a Milano perfino nel santuario della Triennale.
L’offerta didattica sta coinvolgendo le donne di ogni età, ma pare non siano del tutto immuni i “maglia-uomini”. Le mamme, inseguendo le nonne, cercano di recuperare il salto generazionale, con l’imbarazzo di trovarsi a fianco figlie o magari nipoti, ma così è. A Mantova non so.
Ma, per favore, smettiamola di definire hobby i “drit e arvèrs” o l’uncinetto che le nonne, invece, dovevano continuamente sobbarcarsi in famiglia, passando dalle “scapinèle” delle calze a sciarpe, maglie e maglioni.
Nipoti e, più raramente, uomini catturati dovevano offrire le loro braccia come sostegni alle matasse di lana da ridurre a gomitoli, noia maschile suprema. Disponevo di nonne vere, che toccavano la sublimazione della lana con rocca e fuso oppure con “al filarìn”, in italiano arcolaio, strumenti dal loro fascino ma con risultati manifatturieri spesso temuti: era il caso “d’la lana cruda”, come la sentivo chiamare, trasformata in maglie che avrebbero reso gradevole perfino l’ortica, per il tanto che “le pìiava”, pungevano.
Colorarle con il Super Iride Benelli di Prato non migliorava certo la situazione, tanto però passava il convento, in particolare negli anni terribili della seconda guerra mondiale. Anche se la maglia veniva lavorata per uso familiare, sempre in casa tante donne cercavano di arrotondare il bilancio diventando “maière”, con la macchina da maglia, spesso avviata a botte di cambiali. Avveniva nel primo dopoguerra e non sarò il solo a ricordare le donne con i fagottoni che andavano in treno a Carpi per consegnare i lavori finiti.
A metà degli anni ’50 del ’900 non c’era paese senza magliaie, catalogate dagli annuari provinciali: si può sapere così delle 10 a Gazzuolo, 9 ad Acquanegra e Schivenoglia, 8 a Rodigo, 7 a Piubega e via andare. Mantova?
Elencavano tutt’insieme mercerie, filati e lane, quindi non si entra nel particolare: accontentiamoci della impressionante (oggi) cifra di 165 indirizzi di negozi o laboratori, più 9 grossisti e 9 fornitori di macchine da maglia.
Super hobby, quindi! Qualcosa sarà rimasto di quel patrimonio artigianale, ricordi a parte? Scartabellando nella ricerca, mi sono bloccato su un’attività che mette tenerezza: cucitrici in bianco.
A Viadana, nel 1956 ce n’erano addirittura 12, eccole: Beduschi Elvina, Bodini Maria, Cerioli Celestina, Gardinazzi Piera, Genovesi Giovanna, Guatelli Annnunciata, Guatelli Marta, Paganelli Serafina, Provenghi Ileana, Rasoli Luigia, Visioli Maria. Quanti corredi saranno passati per le loro delicate mani?
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