Anche le poesie non c’era chi non le avesse lette stampate, chi non conoscesse la sua vena surreale che si bagna nel vernacolo, e non nasconde una melanconia diffusa, che comunque una mossa dei fianchi, un’inflessione umoristica, un’intonazione musicale alla Petrolini, o alla Totò, dissolvevano nel giuoco delle parti.
Interprete di ampia e importante esperienza, De Buono sa reggere la scena con simpatica autocritica, e anche nei filmati in cui figura per definizione quale partner dei colleghi più celebri, si ammira con quale abilità s’imponesse alla pari, e nei panni di un poliziotto “di sinistra” nei confronti di un abusivo che faceva incetta di scatolame per animali casalinghi, di un inquilino che approfittando dell’ascensore eletto da un’accaldata condòmina a spazio della trasgressione coniugale, ne dava notizia a un interessato moralista, o del cortigiano eccitato da una dama scosciata sull’altalena, al pari di un amico che ne amplificava gli effetti.
I quadri clou della serata giungevano nella seconda parte, con la divertente canzone di Carpi e Strehler sui giocatori di tressette, l’esplosivo grammelot mantovano-calabrese, il virtuosistico monologo, per associazioni ancora fonetiche, dell’arlecchino di Martinelli, e non di meno la spassosa sceneggiata della canzone in riva al Po (dove si fa quel che si può) coinvolgendo alcuni spettatori. Li forniva di bigliettini; a un cenno ne esclamavano la frase, e plus di comicità, con voluti equivoci. E una spiritosa ragazza si prestava a farsi oggetto delle sue attenzioni sulla sponda del Po.
Le risate e gli applausi che hanno accompagnato il recital di De Buono davano ragione al titolo dello spettacolo: Morir dal ridere, che l’autore attore collegava al Super-io e alla sua censura messa appunto in parentesi per l’occasione. Per uscire dalla logica dell’obolo, ci si aspetterebbe una serata per la città, al Bibiena.
Alberto Cattini
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