Gli ottant’anni di Margonari artista al cubo
La vita intensa di un pittore surrealista di livello internazionale che è anche ricercato critico-storico dell'arte oltre che insegnante
di Luca Ghirardini
MANTOVA. Ottant’anni di arte, vissuta su più fronti, tre in particolare, sempre con grande successo. Un artista al cubo, insomma, di fama internazionale anche se, come spesso capita, è proprio nella sua città che non sempre risulta essere conosciutissimo. Renzo Margonari, classe 1937, il 9 di agosto, mantovano doc - nato in via Corrado, ora abita in una villetta a Borgochiesanuova, quasi una casa-museo - l’arte l’ha praticata, l’ha valutata e criticata, l’ha insegnata. Pittore surrealista, le sue opere raggiungono valutazioni a quattro cifre, ma poliedricamente si è cimentato anche con la scultura, il vetro, la ceramica, la gioielleria. Come critico d’arte ha contribuito a lanciare numerosi artisti, molti dei quali mantovani, e a valorizzare correnti di grande successo. Come insegnante ha, tra i vari incarichi, diretto per dodici anni l’Accademia di Belle arti Cignaroli di Verona.
Un predestinato, se è vero che impara prima a disegnare che a scrivere: «E anche quando ho imparato a scrivere - racconta -, ho subito disimparato: eravamo sfollati a San Silvestro, ma si andava a scuola. Un giorno, siamo stati mitragliati: da allora mia madre mi ha tenuto a casa». A scrivere, tuttavia, in seguito impara, e anche bene, visto che nel 1957 viene chiamato dal direttore della Gazzetta di Mantova, Giuseppe Amadei, una collaborazione destinata a proseguire per decenni. Nel frattempo, dipinge, ed è «surrealista per natura». La sua prima mostra viene allestita a Mantova nel 1959 e trova subito un importante sostenitore: «Tutte le sere mi veniva a tenere compagnia Vindizio Nodari Pesenti - racconta Margonari -, un grande maestro il cui parere era tenuto da tutti in grande considerazione. Era molto influente, quindi se andavo bene a lui, andavo bene a tutti». Un piacere ricambiato, visto che, negli anni successivi, Margonari contribuirà a lanciare, a sua volta, numerosi colleghi.
Ma torniamo al giovane artista, che si mostra da subito irrequieto. L’adorata Mantova comincia a stargli stretta, così prende a spostarsi tra Milano e Roma, conoscendo numerosi poeti e artisti, lavorando per loro, collaborando con riviste di critica d’arte. E viaggia, tanto. Soprattutto in Africa - tuttora in casa ha una importante collezione di sculture - e in Oriente. «Erano esperienze non solo culturali - spiega -, andavo a vedere com’era fatto il mondo, acquisendo nel contempo nuovi linguaggi e rielaborandoli in chiave artistica».
Non solo i viaggi, anche le amicizie contribuiscono a ispirare l’artista mantovano. «Un mio grande maestro è stato Sebastian Matta - sottolinea Margonari -. L’ho conosciuto a New York e da allora siamo rimasti amici. Gli ho quasi anche fatto da baby sitter quando si è trasferito nei dintorni di Roma. E poi, Corrado Cagli, una delle persone più colte che abbia mai conosciuto. Non c’era argomento in cui non fosse più ferrato degli altri: una volta ho cercato di batterlo parlando di cani, ma anche in quello ne sapeva più di me».
Nonostante i viaggi e gli spostamenti, al centro dell’attenzione di Margonari resta Mantova. «Ho conosciuto praticamente tutti gli artisti mantovani - racconta - e ho riscoperto grandi maestri storici, in particolare Mario Lomini e Bresciani da Gazoldo, due artisti che hanno aperto il mondo dell’arte mantovana dei primi del Novecento, portando avanti un discorso che non è ancora finito. Non solo, spalleggiato da Cesare Zavattini ho condotto la vicenda del naïf».
Come critico d’arte scrive su riviste olandesi, francesi, canadesi e brasiliane, ricercatissimo soprattutto come storico del surrealismo. Lavora anche per la televisione svizzera, curando per quattro anni documentari sull’arte contemporanea e sui principali musei del mondo. È un mantovano, insomma, che si è fatto onore in Italia e all’estero. Eppure...
«Eppure a Mantova sono trascorsi lunghi periodi senza che nessuno se ne rendesse conto - sottolinea l’artista -. I maggiori riconoscimenti come artista, critico e storico sono arrivati da altre città. L’unica soddisfazione mantovana è stata la nomina come accademico virgiliano. Altrove, invece, mi è andata molto meglio, ultimo in ordine di tempo il premio europeo Lorenzo il Magnifico che mi è stato attribuito a Firenze».
Il critico Margonari come vede il panorama attuale dell’arte mantovana? «Nel tempo - risponde - ho sempre cercato di spingere tutti con i miei scritti e in altri modi. Purtroppo, il difetto degli artisti mantovani è quello di essere troppo sedentari. Sono bravissimi, anche più bravi dei loro colleghi delle province vicine, ma non li conosce quasi nessuno perché restano qua». Qualcosa, tuttavia, sta cambiando: «Solo l’ultima generazione sembra avere capito cosa è opportuno fare. Infatti - sottolinea Margonari - ci sono due o tre giovani che stanno costruendosi una brillante carriera, di grandi soddisfazioni. I nomi? Meglio di no, non vorrei dimenticare qualcuno».
Ma quali sono le doti principali che servono ora per essere un artista di successo? «Negli anni è cambiato moltissimo - afferma il critico mantovano -: oggi non serve più essere bravi solamente come capacità esecutiva. Un tempo il grande artista poteva anche essere ignorante, e lo dico come uno dei principali esploratori dell’arte naïf, oggi bisogna avere grande cultura e grande intelligenza. E poi, chi lo sa, magari il più grande artista del nostro secolo nemmeno l’abbiamo conosciuto, perché non è riuscito a entrare nel circuito giusto, quello delle grandi mostre».
Ora Margonari continua a lavorare nella sua villetta di Borgochiesanuova. Oltre alle sculture africane, può vantare una collezione particolarissima: una serie di quadri rigorosamente quadrati, 50 centimetri per 50. Sono opera di suoi colleghi, moltissimi quelli dal nome illustre, e tutti dedicati a lui: raffigurano, di volta in volta, le sue iniziali, particolari rivisitati di sue opere, il suo ritratto. Non ha un vero è proprio studio, lavora in due stanze. Una è nel seminterrato, dove tiene anche molte delle sue opere («potrei allestire non una, bensì tre mostre» sottolinea), che il critico Arturo Schwarz sulla rivista Tracce definisce «uniche, pur appartenendo a un linguaggio iconologico comune, perché frutto di uno stato d’animo e di un’emozione irripetibile». A queste emozioni non è certo estranea la musica: nell’altra camera-studio, al piano superiore, Margonari ha una libreria zeppa di volumi - numerosi dei quali parlano anche di lui - e circa duemila cd di musica jazz. «Sono stato tra i fondatori del Circolo del Jazz - racconta - e c’è chi dice che senza la musica jazz non sarei capace di dipingere».
Nel frattempo, continua a essere chiamato in tutto il mondo per mostre e manifestazioni; ad esempio in Russia, per curare una mostra dedicata a Salvatore Fiume, grande maestro del dopoguerra. Ottant’anni e non sentirli.
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