«Rigoletto» in 600 cimeli pronti da mettere in mostra
Un anonimo collezionista guarda ai turisti: «Mantova è città della musica». Il sogno? Uno spazio dove esporre tutto il materiale. C’è anche la barca usata da Domingo per la Mondovisione di Marco Bellocchio
Gilberto ScuderiMANTOVA. Il sogno è il trasferimento della Wunderkammer, con la barca, alla Casa di Rigoletto per starci in esposizione permanente. «Più che città d’arte, Mantova è città della musica, capitale della musica come Salisburgo, Vienna, Parigi». A dirlo, mentre ci fa entrare nella Camera delle meraviglie, è un collezionista mantovano che per il momento desidera rimanere anonimo. «A Mantova è nata l’opera lirica nel 1607 con l’Orfeo di Claudio Monteverdi, qui dal 1718 al 1720 abitò Antonio Vivaldi, Mantova è la patria di Rigoletto», prosegue. Il sogno prevede anche che da un balcone di Palazzo Ducale – un giorno la settimana a un’ora fissa per scandire il tempo del rito – allievi del Conservatorio diffondano in piazza Sordello La donna è mobile, l’aria più conosciuta al mondo. «Viene la pelle d’oca alta un centimetro, bisogna creare un’emozione», dice. La barca, custodita nella Wunderkammer, è quella originale su cui Plácido Domingo solcò le acque del lago di Mezzo nel Rigoletto, regia di Marco Bellocchio, in diretta mondovisione nel 2010.
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Dove si trova la Camera delle meraviglie? In un luogo imprecisato. Ma non è l’isola che non c’è. Non è utopia. Esiste. E anche il proprietario è in carne e ossa. Ma preferisce rimanere senza nome e senza volto, per motivi personali, di riservatezza, si trincera dicendo che a essere importante è la sua collezione, non lui. Vedremo in futuro se si rivelerà. Adesso dice soltanto che da giovane ha suonato il pianoforte, per molti anni, per poi prendere un’altra strada, quella della storia della musica di Mantova. Che lavoro fa? Il libero professionista, e ha anche una libera docenza universitaria. Non dice dove. Al tabù sulla sua persona corrisponde la felicità di farci fotografare tutto quanto possiede. Frutto di anni di ricerche sul mercato antiquario, scandagliando online i siti e i cataloghi della case d’asta in Italia, Inghilterra, Francia, Spagna, Germania, Russia, America del Nord e del Sud, non poche volte andandoci direttamente. Target: Rigoletto.
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Il motivo è che «tutte le cose riguardanti Rigoletto devono tornare nella sua città, la nostra», dice. Aggiungendo che l’obiettivo va visto «in un’ottica turistica». Ribadisce: «Di città d’arte in Italia ce ne sono tante, bisogna differenziarsi». In effetti, in soldoni, ad attrarre i turisti a Verona, più che Castelvecchio è il balcone di Giulietta. A Siena, più che il trecentesco Buon governo del Lorenzetti, è il palio delle contrade. A Pisa, più che il Cristo di Cimabue in duomo, è la torre pendente. Quindi a Mantova cosa bisognerebbe fare? «Nel Sottoportico dei Lattonai, tra le piazze Erbe e Broletto, creare la bottega dello speziale dove Renzo Montecchi andò a comprare il veleno». Scespiriano.
Di quanti pezzi è composta la collezione? «Circa 600». Nella Casa di Rigoletto ci stanno tutti? «Forse no, bisognerà fare una selezione». Come alternativa, le piacerebbe l’idea di trasferire tutta la sua collezione a Palazzo Ducale? «Potrebbe essere un’ipotesi». In effetti, tra i cimeli ci si perde: qualità e quantità. Ci sono fotografie con le firme autografe dei grandi interpreti dell’opera verdiana: Enrico Caruso nel ruolo del Duca di Mantova a New York nel 1910, Titta Ruffo, Tito Gobbi, Tito Schipa, Beniamino Gigli, Mario Lanza, Mario Del Monaco, Giuseppe Di Stefano, Plácido Domingo, Luciano Pavarotti (che nei primi anni ’60 studiò canto a Mantova dal maestro Ettore Campogalliani), Maria Callas, Toti Dal Monte, Renata Tebaldi, Renata Scotto, e c’è anche la foto originale di Felice Varesi, il primo interprete di Rigoletto, al teatro La Fenice di Venezia nel 1851. E c’è la Gazzetta uffiziale di Venezia del 12 marzo 1851 con la recensione dell’opera al debutto il giorno prima.
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Poi i costumi di scena: uno di Gilda del 1870, un altro è quello indossato nel 1960 da Richard Tucker, il più grande tenore americano. Il collezionista spiega che fino alla metà degli anni ’50 del ‘900 non c’erano costumisti, se non raramente, e a procurarsi gli abiti erano i cantanti, che se li portavano dietro nelle tournée. Non mancano i libri – tra questi un’edizione del 1833 di Le roi s’amuse di Victor Hugo, che ispirò il Rigoletto –, i libretti dell’opera, i manifesti e le locandine delle rappresentazioni teatrali dell’800 e del ‘900 e dei film a partire dal 1943, i dischi (alcuni sono di gommalacca, uno è stato registrato a New York nel 1898), un grammofono a 78 giri degli anni ‘20 o ’30 di marca Rigoletto, un vetrino per lanterne magiche.
«Una chicca – dice il collezionista mostrandolo – è il primo spartito in assoluto del Rigoletto, pubblicato da Ricordi nel 1851 (l’autografo ce l’ha La Fenice), un’altra è la prima trascrizione per pianoforte del 1852, fatta dal musicista mantovano Luigi Truzzi». Un’altra ancora è una partitura orchestrale per primo violino, in Spagna nel 1864.
Le sorprese non finiscono: salta fuori una trascrizione per piano, del 1880 circa, con in copertina il buffone che fa il gesto sconcio dell’ombrello; poi, dalla sezione dei giornali e delle riviste, un Rigoletto a fumetti pubblicato sul Corriere dei piccoli. C’è anche una litografia autografata di Annetta Casaloni, che interpretò Maddalena alla Fenice nel 1851. Ecco una foto del soprano Lina Aimaro Bertasi, Gilda nel Rigoletto alla Scala di Milano nel 1943, tempo di guerra. La sua è quasi una storia a parte. Fu moglie dell’avvocato Aldo Bertasi di Castel Goffredo, dove abitò ed è sepolta. Nel 2010, durante un convegno specializzato, Castel Goffredo le ha dedicato un annullo filatelico speciale. Alla fine della carriera, morto il marito, si stabilì sul lago di Garda e a Lugana di Sirmione costruì il teatro Kursaal, dove insegnò e promosse concerti e concorsi internazionali di canto lirico, volendo con testamento la creazione di una fondazione – nel Kursaal – col fine di sviluppare il “bel canto” e il perfezionamento di giovani artisti. Nella collezione ci sono anche delle sculture, una in ceramica è di Aldo Falchi, dei primi anni ’80.
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La collezione è quasi interamente dedicata a Rigoletto, ma non mancano pregevoli pezzi riguardanti Monteverdi e Vivaldi . Nel 1610, a tre anni dalla prima dell’Orfeo avvenuta nel 1707, Eugenio Cagnani commenta con entusiasmo il “virtuosissimo” Alessandro Striggio, librettista dell’opera “poi fatta in musica dal virtuoso sig. Claudio Monteverdi”. Non andò così bene a Vivaldi (raffigurato sul frontespizio de “Il teatro alla moda” come un angioletto che sul timone di una barca suona il violino), preso in giro nel 1720 da Benedetto Marcello.
Due domande si impongono: il collezionista svelerà la sua identità? La sua collezione troverà uno spazio pubblico per essere esposta?
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