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Ristoranti: i quarant’anni dell’Ambasciata di Quistello

Il ristorante stellato compie gli anni e si rinnova. Ripartendo da Romano e Carlo Tamani

di Luca Ghirardini
2 minuti di lettura

QUISTELLO. Quando l’indirizzo di un ristorante è dettato proprio alla presenza del locale in quel luogo, vuol dire che si è lasciato il segno. E l’Ambasciata dei fratelli Tamani si trova a Quistello nella piazzetta Ambasciatori del Gusto. Al civico 1, l’unico. Un po’ come accadde a Roanne, quando la piazza di fronte al ristorante Troisgros venne intitolata a Jean Troisgros, mancato improvvisamente. Il riconoscimento all’Ambasciata, per fortuna, vede ancora tutti vivi e vegeti, e in piena attività, per questo che sarà un anno speciale, il quarantesimo da quando, nell’agosto del 1978, il locale in riva al Secchia aprì i battenti, con Romano Tamani in cucina e il fratello Francesco (che tutti chiamano Carlo) tra sala e cantina. Il nome fu ispirato dall’ambasciatore Adolfo Alessandrini, la cui famiglia era originaria del paese.

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Anno speciale, il 2018, non solo per il quarantennale, ma anche per un vento nuovo che ha portato a rinnovare i locali, soprattutto la cucina, ridipingere l’esterno («gli infissi ora sono di colore rosso Michelin» scherza Romano, con riferimento alla targa con il macaron della guida Rossa che fa bella mostra di sè accanto all’ingresso) e potenziare la cantina. Non solo, ora alle spalle del ristorante c’è una nuova società, della quale Romano e Carlo fanno parte, che punterà a mantenere alto il nome dell’Ambasciata nell’ambito della ristorazione italiana. E magari riconquistare quello che pochi anni fa il terremoto e la crisi economica hanno tolto: le stelle Michelin erano due, i cappelli della guida de l’Espresso tre, come le forchette del Gambero Rosso.

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Non ci saranno ammiccamenti a una cucina modaiola: il centro del mondo dell’Ambasciata rimarrà Quistello, con i prodotti che offre la terra circostante. Non per niente i menu degustazione si chiamano “Desinare quistellese”, “Desinare quistellese di magro” e “La grande cucina del Vicariato di Quistello”, con prezzi che vanno dai 90 ai 150 euro.

«Torniamo alle radici - spiega Romano -: la gente nel piatto cerca il gusto, la tradizione, la qualità, ma anche un po’ di quantità». «E accoglienza e calore» aggiunge Carlo. Oltre ai menu fissi, la carta è divisa in più sezioni: si parte da “Le origini di Romano”, per proseguire con i Brodi, le Minestre e Risi, le Carni, i Pesci, i Dolci. C’è molto territorio, ma anche spazio per chi vuole sperimentare gusti più cosmopoliti. «Ci chiedono sempre tortelli, tagliatelle e faraona - spiega Romano -, ma viene molto apprezzato un nuovo piatto, che può anche essere unico: la zuppetta di fagioli, cotenne, salsiccia, costina di maiale, astice leggermente piccante, pomodoro, zafferano, olio extravergine di oliva al basilico». Sembra un accostamento insolito, ma nel piatto gli ingredienti trovano un loro equilibrio armonico.

Negli anni è cambiata la cucina di Romano? «I piatti vanno sempre un po’ rinnovati - spiega il cuoco -, probabilmente si è un po’ alleggerita, ma senza superare il limite oltre il quale viene meno il gusto».

L’Ambasciata è famosa anche per il suo ambiente ricco di tappeti, argenti, fiori, drappeggi: mangiare in quella sala è un po’ come entrare in un teatro gastronomico. E sono tanti i personaggi noti che via hanno messo piede, dai politici come Giulio Andreotti («il più colto in assoluto» ricorda Romano) ai giornalisti come Enrico Mentana e Carlo Rossella, dagli imprenditori come Giovanni Rana («mandò qui anche alcuni suoi ragazzi per imparare l’arte della pasta») e Anna Molinari di Bluemarine («per realizzare un vestito si ispirò a un piatto a fiori realizzato per noi dalla Richard Ginori») a nomi illustri dello spettacolo come il regista Mario Monicelli («si rammaricò di non avere fatto in tempo a portare qui Mario Soldati») e l’ideatore di Striscia la notizia Antonio Ricci, tuttora cliente affezionato, così come Vittorio Sgarbi e la sorella Elisabetta. Non sono mancati vescovi, cardinali e nunzi apostolici, senza dimenticare quando l’Ambasciata fu chiamata a Mantova per cucinare per papa Giovanni Paolo II. E ancora, Cesare Zavattini, gli artisti Gorni e Giorgi, Alain Elkann, Marta Marzotto, Alberto Bevilacqua, Cesare Marchi...

Non sono mancati episodi curiosi, come quando Valeria Marini, arrivata con la gatta Favola, la vide uscire dalla gabbietta e nascondersi sotto un altro tavolo. L’attrice si chinò, gattonando, per recuperarla, ma la gonna a portafoglio le tirò un brutto scherzo, aprendosi di fronte all’intera sala. Uno strip tease involontario, a differenza di quello di un’altra cliente, che abbandonò su un mazzo di fiori le mutandine di pizzo. Quarant’anni di storia gastronomica mantovana, insomma, che ora riprendono con rinnovato slancio.
 

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