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Perlasca, l’eroe inconsapevole: le sue gesta nel ricordo del figlio

Lunedì sera biblioteca al completo per l’incontro organizzato dai Frati Minori Mise in salvo 5.218 ebrei ma la sua storia rimase sconosciuta fino al 1988

Gilberto Scuderi
2 minuti di lettura

MANTOVA. Esistono 36 giusti, dice un racconto ebraico. Nemmeno loro sanno di esserlo. La loro esistenza è uno dei motivi per cui Dio non distrugge il mondo. In questa consapevole inconsapevolezza, dettata dalla voce della coscienza, sta forse il segreto per fare del bene. Senza aspettarsi gratitudine, ricompense materiali o morali, onori o altro. Il bene può essere fatto al di là delle ideologie e della politica. Può concretamente affermarsi, il bene, mentre chi lo ha fatto può cadere dell’oblio, non avere alcun riconoscimento, essere dimenticato per sempre. Accade.

Di essere giusto Giorgio Perlasca non lo sapeva. E la sua storia sarebbe rimasta sconosciuta se un giorno, dopo 45 anni dal bene compiuto e mai raccontato a nessuno, alcune donne ungheresi non avessero cercato il diplomatico spagnolo che le aveva salvate, loro insieme a tanti altri, adulti e bambini. Di questo si è parlato lunedì sera durante l’incontro dedicato a Perlasca, Giusto fra le Nazioni, nella biblioteca del convento di San Francesco. Sono intervenuti, dopo un’introduzione di padre Graziano, vicario dei Francescani, il figlio Franco (nato nel 1954) e sua moglie Luciana, la nuora di Giorgio. Il quale, tra mille peripezie e atti di coraggio, di astuzia e di diplomazia, salvò 5.218 persone. Coraggio che dissimulò sempre: «Non ho avuto coraggio. Non pensavo ai pericoli» disse nel 1990, l’anno prima della morte, in un’intervista a Washington in occasione della posa della prima pietra del Museo dell’Olocausto. Chi era Perlasca? Un importatore di bestiame che dopo l’8 settembre 1943 si trovò a Budapest e, non avendo aderito alla repubblica di Salò, fu internato dagli ungheresi alleati dei tedeschi.

Perlasca aveva combattuto come volontario nella guerra civile spagnola, dalla parte dei fascisti, e conservava una lettera del generalissimo Franco che gli garantiva protezione e aiuto in qualsiasi parte del mondo si trovasse. Per salvarsi Giorgio fece valere quella lettera: ebbe un passaporto spagnolo, divenne il cittadino spagnolo Jorge Perlasca. Dopo avere salvato se stesso si ingegnò per salvare tanti altri. Frequentando l’ambasciata spagnola (la Spagna era neutrale) si nominò rappresentante legale dell’ambasciatore mentre questi era in Svizzera. E in questa veste – il diario di Perlasca è stato pubblicato nel 1997 e in successive edizioni con il titolo “L’impostore” – diede rifugio e salvacondotto spagnolo a molti ebrei destinati a essere deportati in Germania. Li salvò dalla morte certa.

Finita la guerra Perlasca tornò in Italia: la ditta dove lavorava lo aveva licenziato e trovò difficoltà a reinserirsi nel mondo del lavoro. Di lui nessuno si interessò. Fu solo nel 1988 – il muro di Berlino già scricchiolava – che alcune donne ungheresi da lui salvate, approfittando di un viaggio collettivo a Venezia, andarono a trovarlo a Padova, dove abitava. Così il mondo conobbe la storia di Giorgio Perlasca e Israele lo dichiarò Giusto fra le Nazioni.

Durante la serata di lunedì è stato proiettato il documentario di Piero Angela “La storia maestra di vita” dedicata a Perlasca (anche il padre di Piero, Carlo Angela, è Giusto fra le Nazioni: medico in un ospedale psichiatrico, ricoverò molti ebrei e in questo modo li salvò). Nel 2002 la storia di Perlasca è stata anche una serie televisiva con protagonista Luca Zingaretti. La notizia, ora, è che il 22 gennaio, su Rai2, andrà in onda un docufilm su Perlasca. L’incontro di lunedì sera in San Francesco – la sala della biblioteca era al completo – è avvenuto in preparazione del Giorno della Memoria, il 27 gennaio. Giorno della liberazione, avvenuta nel 1945, del lager di Auschwitz-Birkenau. Ricorrenza per la quale a Fondazione Giorgio Perlasca, con sede a Padova (www.giorgioperlasca.it) ha creato un percorso della memoria: un viaggio per studenti – pullman come aula viaggiante – con due tappe: Budapest e Auschwitz. 
 

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