Mantova, ricordo a più voci della catastrofe. Il prefetto: «Il passato non ritorni»
Le celebrazioni in città per non dimenticare le deportazioni di ebrei, rom e sinti e omosessuali
Gilberto ScuderiMANTOVA. In lingua ebraica catastrofe si dice Shoah, immane disastro. Ogni coscienza è scossa. Non solo nel Giorno della Memoria si deve ricordare, ma bisogna reagire. Rispetto al tragico passato, ma anche riflettendo sul presente – che appare sempre più buio – e sulle incognite del futuro. Ci giochiamo l’umanità. Potremmo perdere la libertà. Ieri a mezzogiorno, nella sinagoga di via Govi, con la voce di Aldo Norsa la preghiera ha cercato disperatamente il «Signore Dio di misericordia». Come un’eco gridata da Auschwitz – luogo di morte ripetuto infinite volte insieme a quello degli altri campi di sterminio, Mauthausen, Flossenbürg, Bergen-Belsen, Ravensbrück – dal profondo silenzio sono riemersi i nomi di 99 ebrei mantovani o di origine mantovana mai più tornati a casa: su 105 deportati, solo cinque i salvati, sommersi tutti gli altri. I loro nomi sono stati riproposti in serata al Bibiena da Francesca Campogalliani e Diego Fusari.
Durante la mattina, prima dell’incontro in sinagoga, nell’auditorium Monteverdi del conservatorio Campiani – presenti le autorità civili, militari, religiose e le associazioni combattentistiche, l’Anpi, i sindacati – le note del violoncello e una giovane voce avevano introdotto alla cerimonia di consegna delle medaglie d’onore ai familiari di nove mantovani tornati dai campi di concentramento e prigionia. Medaglie del presidente della Repubblica alla memoria di don Costante Berselli (tra i fondatori del Comitato di liberazione nazionale di Mantova, con una radio clandestina trasmetteva agli alleati informazioni sugli spostamenti delle truppe tedesche, fu scoperto e deportato a Dachau), Angiolino Ghizzi, Francesco Gozzi, Mario Guerra, Mario Nuvoloni, Silvio Seguri, Umberto Ferrari, Valter Galli e Annibale Lipreri. Nove mantovani, tutti scomparsi, vivi ieri nel ricordo, nella commozione e nelle lacrime.
Una breve pagina ha riassunto le loro odissee, di ognuno l’innocente sofferenza. A consegnare le medaglie alle mogli, ai figli e alle figlie, nipoti e parenti sono stati il prefetto Caterina Bellantoni, il sottosegretario agli Interni Luigi Gaetti, mantovano, i sindaci di Mantova Mattia Palazzi, di Bagnolo San Vito Manuela Badalotti, di Curtatone Carlo Bottani, il presidente della Provincia Beniamino Morselli, i deputati Anna Lisa Baroni e Matteo Colaninno.
«Il passato ci appartiene e dobbiamo impedire che possa tornare» ha detto il prefetto. Il canto La vita è bella di Nicola Piovani, nel film di Roberto Benigni, è stato eseguito dal coro di Voci in festa Città di Mantova dell’associazione culturale Pietro Pomponazzo, diretto da Mario Cavalca. Poi, alla fine della cerimonia, in coro ha intonato il Salmo 133 in ebraico: Come è bello e gioioso vivere insieme serenamente.
Nel pomeriggio, al Binario 1 della stazione ferroviaria, si è svolta la commemorazione del Porrajmos, il tentativo di genocidio con 500mila Sinti e Rom sterminati nei lager nazisti. È stato letto un breve testo di una bambina sinta scampata a Auschwitz. Silvan Sinto ha cantato Gesù vive accompagnandosi con la chitarra. Il pastore evangelico Daniele Argentini ha tenuto un appassionato discorso sulla discriminazione. Carlo Berini, dell’associazione Sucar Drom (“bella strada” in lingua sinta) ha annunciato l’intenzione del sindaco Palazzi di porre in stazione una targa a ricordo dei Sinti e dei Rom che qui passarono diretti nei campi di sterminio.
Poi, in conservatorio, la commemorazione del Giorno della Memoria – presieduta da Massimo Allegretti, presidente del Consiglio comunale, con gli interventi di Palazzi e Morselli – ha avuto la prolusione di Marco Reglia intitolata “Omocausto? Mascolinità (e femminilità) devianti nel periodo contemporaneo”. Per i nazisti gli omosessuali erano “non uomini”. Nei lager la loro mortalità era elevatissima.
I nazisti consideravano l’omosessualità adeguata alle razze che ritenevano inferiori (proprio come una delle prove della loro inferiorità) ma esecrabile nella razza ariana. Casi di omosessuali mantovani deportati non se ne conoscono (sono ricerche d’archivio allo stato nascente) ma «tredici o quattordici omosessuali mantovani furono inviati al confino tra il 1930 e il 1943» ha detto Reglia. Il Giorno della Memoria si è concluso in serata al teatro Bibiena. —
Gilberto Scuderi
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