MantovArchitettura fiore all’occhiello del Politecnico
Bucci: un format unico. Grazie anche ai grandi nomi accolti dalla manifestazione cresce il prestigio della facoltà tra le università del mondo
Maria Antonietta Filippini
MantovArchitettura 2019 ha chiuso il suo bilancio, con un costo sui 200mila euro, mentre il Politecnico di Milano saliva al 149° posto tra le università del mondo per QS Rankings, sito visitatissimo dagli studenti. Mit, Stanford e Harward sono in testa. «E noi primi degli italiani - precisa Federico Bucci, prorettore a Mantova -. Vicino a noi l’università tecnica di Berlino. Ma ha ingenti finanziamenti per la ricerca, come l’Imperial College di Londra da governo e privati. Noi con meno soldi, emergiamo per il modo di lavorare. MantovArchitettura lo dimostra e io mi auguro che abbia contribuito a questo risultato».
Come può aver influito MantovArchitettura?
«Abbiamo un premio Pritzker, Edouardo Souto de Moura, oltre a ottimi docenti, personale amministrativo e studenti. Sono loro i volontari del festival. Dicevo di Eduardo, che è bravissimo: la fama dei docenti è il primo parametro che guardano da fuori».
Letteratura, cinema e architettura: quanti festival per non deporre la corona di Mantova capitale della cultura ricevuta nel 2016! Ci sono altre rassegne di architettura in Italia?
«E’ il primo e l’unico. Abbiamo inventato un format : chi viene a parlare fa anche il docente. Diebedo Francis Kerè, che ha chiuso la rassegna nel nostro luogo simbolo, il Tempio di San Sebastiano, è stato a Mantova 4 giorni e ha guidato due laboratori alla Casa del Mantegna. Ci sono studenti che hanno avuto i progetti corretti da lui».
Non è casuale la scelta di affidare il gran finale a un africano di fama mondiale, nato in un villaggio del Burkina Faso, arrivato a Berlino con borsa di studio e che, dopo Harward, insegna a Monaco di Baviera. E’ un messaggio in bottiglia che arriva sulla sponda di una società sfiduciata?
«L’Africa ha una carica di energia e valori antichi. Ma se scimmiotta l’Europa diventa indecente, come la finta Torre Eiffel a Ouagadougou. Dove però il nuovo Parlamento è arioso come un’ immensa tenda bianca mossa dal vento con il tetto a onde come le dune del deserto su cui crescono naturalmente piante grasse. Un’idea di Kerè che unisce bellezza e capacità di astrarre dalla tradizione e dalle caratteristiche climatiche e culturali del luogo».
Chi ha proposto Kerè?
«Souto de Moura, che pure ha uno stile tutto diverso. I nomi li fa una commissione scientifica guidata proprio da Eduardo e il fatto che sia un premio Pritzker convince tutti ad accettare l’invito».
Come iniziò il festival?
«In sordina nel 2012 e subito invitammo le due irlandesi dello studio Grafton di Dublino, diventate famose come curatrici della Biennale di Venezia l’anno scorso. Poi sono venuti il giapponese Tadao Ando, l’americano Eisenman, e tantissimi da tutto il mondo. Quest’anno, il 6° in forma strutturata, il cinese Liu Yuyang, l’americano Tony Fretton e Pierre Louis Faloci, premiato come miglior architetto di Francia».
E Giulio Romano...
«Con la mostra e le conferenze di Carpeggiani e Bulgarelli. E abbiamo dato a Francesco dal Co, grande storico dell’architettura, la sala dei Cavalli a Palazzo Te. Lui ha lavorato mesi, per immergersi in un ambiente così forte, alla fine ha deciso di portare un discorso filosofico, sulla libertà di pensiero Il nostro ruolo di fare università è cambiato nel tempo. Prima lo studente quasi lo si obbligava: vai a Sant’Ambrogio a Milano, vai a Parigi a vedere Notre Dame. Oggi per conto suo va da una parte all’altra del mondo e noi dobbiamo creargli il bisogno, gli stimoli, fare in modo che impari a scegliere».
La cattedra Unesco di Progettazione architettonica e storia, in inglese, ha 100 studenti, metà internazionali. Perché scelgono Mantova?
«Con il mercato globale della formazione, un diciottenne e la sua famiglia fanno le loro considerazioni».
Il rapporto con Mantova? «Io ormai mi sento mantovano, perché questa città riassume tutte le bellezze dell’Italia. O siamo in grado di interpretare la nostra tradizione ed essere presenti nella contemporaneità o restiamo sempre la città dei Gonzaga. Abbiamo lavorato su Giulio Romano, ma non sarebbe MantovArchitettura se non ci fosse stato anche il Messico, con la mostra e gli architetti emergenti. I cinesi spesso ci scelgono perché costiamo meno dell’America. La nostra scommessa è fargli capire cos’è l’Italia. Grattacieli di vetro per farci stare chi ha i soldi? C’è ben altro. Civiltà e bellezza crescono insieme. Kerè ci ha portato nella sua Africa, quando progetta con i suoi amici, i parenti, una comunità intera. L’Europa questa cosa l’ha avuta con le cattedrali. Per Kerè, Enea si porta sulle spalle l’Africa, per noi il padre Anchise è Leon Battista Alberti».
Ha parlato di 200mila euro?
«Paga tutto il Politecnico con gli sponsor che riesce a trovare. Comune e Provincia ci offrono sedi storiche. Ora proponiamo a chi voglia legare il suo nome a MantovArchitettura di farsi avanti. Non possiamo abbassare il livello, piuttosto è meglio smettere».
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