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L’uomo dalle tante identità all’Opg

Nel 1979 uscì dopo 22 anni un paziente misterioso, senza documenti e nessun familiare. Le sue impronte erano riferibili a un ungherese, ma lui si spacciava per un ufficiale spagnolo

Renzo Dall’ara
2 minuti di lettura
1926, San Martino dall'Argine, foto di gruppo classe 1906 (con la fisarmonica Enrico Lini) 

MANTOVA. Gazzetta di domenica 29 settembre e l’amarcordista vostro legge il reportage di Nicola Zancan dalla Rems di Castiglione delle Stiviere, fino al 2015 però era Ospedale psichiatrico giudiziario e così torna a una storia da “Chi l’ha visto?” raccontabile a rovescio, cioè dal 3 dicembre 1979, quando usciva un uomo che all’Opg era rimasto per 22 anni, non aveva documenti e da nessuno richiesto, familiare o amico che fosse. Difficile sintetizzare il suo percorso, iniziato a Verona nel 1945, fermato dalla polizia e dichiarava di essere Fernando Perez Aragon, colonnello dell’esercito spagnolo in esilio, in realtà Ferdinando Maria di Bourbon e Battenberg, conte di Castiglia e Infante di Spagna.

Ce n’era abbastanza per il manicomio di Verona, diagnosi di “sindrome paranoidea” e spedito al campo profughi di Alatri, poi manicomio di Aversa, dentro e fuori, infatti ribeccato a Trieste e ancora una volta nel ’57 a Cannobbio, stava tentando di entrare in Svizzera. Invece manicomio a Novara, processato per falsa identità: infatti, spuntavano foto segnaletiche e impronte dell’Interpol riferibili a Gulyas Wilmos del 1914, ungherese, come tale spedito a Castiglione nell’agosto 1957.

Il giudice di sorveglianza del Tribunale di Mantova, Luciano Bonafini, indagava fino a trovare i genitori del Wilmos, che dalla foto lo riconoscevano e gli scrivevano, lo aspettavano ma lui si faceva tradurre le lettere: parlava spagnolo, tedesco, francese non ungherese e il vero Gulyas, anzi, l’aveva incontrato ad Aversa, con falso nome. Fin dal 1960 il giornalista Dall’Ara Renzo, non ancora amarcordiere, aveva raccontato alla Gazzetta l’itinerario che il personaggio costruiva, sempre preciso nei luoghi e nelle situazioni: da Madrid con scuola militare all’Italia, cadetto alla Nunziatella di Napoli e Accademia di Modena, uscito tenente. Quindi guerra di Spagna, ufficiale con i franchisti nel ’37 e nella Divisione Azul, i volontari spagnoli sul fronte russo nel ’41.

Nel 1942 con l’Afrikakorp del feldmaresciallo Rommel, esaltato come “Wüstenfuch”, la Volpe del deserto, combatteva un capitano Amadeus von Battenberg, poi riapparso in Italia, ferito a Cesena, fatto prigioniero e in un campo a Napoli. Il resto può ripartire da Verona, ma ecco spuntare dalla Baviera Ilse Reichenbacher, infermiera con la foto, quantomeno sconcertante, di un ufficiale in casco e occhialoni da deserto, molto somigliante al paziente di Castiglione: lei l’aveva ricevuta dal fidanzato, reduce dalla guerra, che dichiarava quello essere il suo capitano.

Sempre respinta a Castiglione in quanto non parente, la Ilse muoveva cielo e terra, invocandone l’uscita dal manicomio: lettere a raffica (ne ho viste almeno una quindicina) poi Quirinale, Onu, Croce rossa internazionale, Lega svizzera difesa diritti umani, Consiglio d’Europa. Altrettanto scriveva il capitano Amadeus, chiedendo di uscire, lettere però che non uscivano da Castiglione, ai sensi di legge, infine il 13 maggio del 1978 la legge180, Basaglia cambiava tutto. Ma dove sarà andato l’Infante di Spagna nonché capitano von Battenberg?


 

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