Il brodo di cappone è anche da asporto nei nuovi progetti dell’agritur Le Caselle
A Raffaella Cantadori Cangini arrivano richieste da lontano anche per mostarde e frutta candita
Sabrina PinardiMANTOVA. Il brodo di cappone? Diventa da asporto. Un asporto gourmet, che può salvare un pranzo domenicale e, perché no, anche quello natalizio. A prepararlo anche per chi non ha tempo o voglia di cimentarsi tra pentole e fornelli è Raffaella Cantadori Gangini dell’agriturismo Le Caselle di San Giacomo delle Segnate, un autentico paradiso per golosi.
Quello per il suo brodo è il cappone dei Gonzaga, in purezza: quando cucina, Raffaella non ammette scorciatoie. Poi ci mette verdure ben dosate e pazienza. Perché la lentezza è uno dei segreti: il brodo deve sobbollire a lungo, così le fibre della carne si ammorbidiscono e l’acqua accoglie i succhi che danno sapore e profumo. Una volta pronto, viene in parte sgrassato e poi, con un colino a maglie fitte che toglie eventuali impurità, viene versato, ancora caldo, nei vasi sterilizzati (da litro) e pastorizzato. Per potersene aggiudicare qualche porzione occorre andare a San Giacomo, oppure, per ordini consistenti, puntare sulla consegna a domicilio (per Natale conviene già portarsi avanti con la richiesta). E magari aggiungere all’ordine gli agnolini, confezionati in sacchetti sottovuoto da mezzo chilo e congelati. Oppure i tortelli di zucca.
L’idea è piaciuta: arrivano telefonate da gruppi d’acquisto del Mantovano e non solo. Persone che erano state a mangiare qui, oppure amici di amici: il passaparola si sta rivelando la pubblicità migliore. «Mi sto organizzando per due consegne a Bergamo e a Vicenza - racconta Raffaella - Si tratta di clienti storici che non posso certo scontentare. Avevano già prenotato una cena prima di Natale, che abbiamo dovuto annullare a causa del lockdown. E allora risolviamo così».
Tra i prodotti che è possibile ordinare ci sono, anche quest’anno, i capponi. Per il 2020 in piccole quantità, con l’obiettivo, però, di avere numeri più alti nel 2021. Con il marito Gianfranco, li allevava in un piccolo bosco ai margini dell’azienda, tra gli alberi, in riva a un laghetto in cui nuotano persino gli storioni. Da quando Gianfranco non c’è più, la produzione è affidata a un’azienda biologica di Reggio Emilia, «produttori con lo stesso nostro modo di allevare e di vedere le cose».
Nella possibile lista della spesa, poi, le tradizionali mostarde, per le quali l’azienda è molto conosciuta dai gourmet, lo zabaione, le confetture e le ultime invenzioni: dagli agnoli vegetariani ripieni di ceci stufati e bucce di zucca, fino alle verdure fermentate, alle gelatine e ai canditi. «Questa settimana ho raccolto gli azzeruoli, che assomigliano a piccole mele, e li ho canditi. Nei prossimi giorni mi dedicherò al caco mela, alle pere martine e alla zucca».
Frutti e ortaggi tutti coltivati e trasformati da Raffaella e dalle sue due collaboratrici, assunte quest’anno. Una scelta controcorrente, ma alle sfide è abituata, come quando ha deciso di caricarsi sulle spalle tutto il peso del sogno suo e di Gianfranco. E ne ha già pronta un’altra. Anzi, più d’una. «Ho chiesto di convertire l’azienda al biologico. Ho tolto parte del bosco e pianterò alberi da frutto di varietà antiche. Farò un intero viale di melograni, che utilizzerò per produrre succhi e olio per la cosmesi (c’è un laboratorio in zona che lo produce partendo dai semi). E in mezzo ai filari realizzerò un orto rialzato. Il mio obiettivo è la creazione di un’azienda a ciclo chiuso, che sia il più etica possibile». —
Sabrina Pinardi
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