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L’area di Valdaro come un “santuario” dell’età del rame. Ecco i nuovi studi

Intervista alla funzionaria Longhi che su Zoom ha illustrato le ricerche sulla necropoli e luogo di culto

Matteo Sbarbada
1 minuto di lettura

MANTOVA. L'area di Valdaro come un “santuario” dell'età del rame. Di certo un luogo di sepoltura dedicato a personaggi eminenti e un punto di riferimento per più comunità. A raccontare la storia del sito, venerdì 4 dicembre sulla piattaforma Zoom in una conferenza online curata dal Centro studi e ricerche Basso Chiese Klousios, è stata Cristina Longhi, funzionaria archeologa della Sovrintendenza di Brescia e Bergamo. Titolo dell'evento, Luoghi di culto e necropoli: nuovi dati da Valdaro di San Giorgio. Dopo gli scavi della Sovrintendenza per i Beni archeologici della Lombardia, iniziati nel 2006 e conclusi nel 2017, sono scattate analisi ed elaborazioni di dati, tutt'ora in corso.

Quello che si può già affermare con certezza è che Valdaro è stata nei millenni un'area di particolare importanza. La necropoli conta una cinquantina di tombe. Un numero davvero elevato. «Come numero di sepolture è seconda solo a Remedello - ha spiegato Longhi prima della video conferenza -. Nella località bresciana, però, gli scavi vennero effettuati nell'Ottocento e i dati sono carenti». A Valdaro, invece, le tecniche di analisi sono quelle dell'archeologia moderna. Basti pensare alla presenza di un antropologo durante la campagna di scavi. Una figura preziosa nel percorso di comprensione delle relazioni di una comunità vissuta circa tremila anni prima di Cristo.

Tante sono le domande a cui si sta cercando di rispondere. «Molti sono sepolti con pugnali in selce. Un'ipotesi è che potessero essere simboli di prestigio, magari realizzati appositamente con materiali pregiati per poi essere posizionati nel corredo. In altri casi sono presenti vasi di ceramica». Sepolture risalenti all'età del rame sono state rinvenute in altre aree, ma spesso con numeri ristretti di defunti.

«A Calvisano, ad esempio, ne sono stati ritrovati tre. Tutti avevano la stessa malformazione ad un osso della gamba. Forse avevano svolto in vita la stessa mansione o magari erano parenti». I numeri ben più elevati di siti come Remedello o Valdaro fanno pensare che quest'ultimi fossero particolari luoghi di culto, punti di riferimento per comunità sparse in territori più vasti. Di certo l'area di Valdaro era già all'epoca un crocevia importante. Un passaggio obbligato, uno snodo cruciale tra la parte settentrionale delle attuali Lombardia e Veneto, il Po e l'Adriatico. Per comprendere la validità dell'ipotesi sarà necessario proseguire con le analisi. «Gli esami del Dna potrebbero essere preziosi, indicandoci eventuali gradi di parentela. Questo per capire se si tratta di sepolture di persone che avevano vissuto nell'area o anche di altre che avevano vissuto altrove. E poi, con il metodo della datazione del Carbonio 14, puntiamo a comprendere quanto sia durata la necropoli. Un dato chiave per ricostruire le dinamiche alla base di queste comunità». 

Matteo Sbarbada
 

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