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La studentessa mantovana che si occupa dei “novel food”: «Sani e a basso impatto: mangeremo insetti»

Studia Politiche agroalimentari e i nuovi alimenti all’università di Wagewingen (Paesi Bassi): «Li ho mangiati tante volte. All’inizio saranno cibi di nicchia, se arriverà l’ok della Ue saranno presto accettati»

Sabrina Pinardi
2 minuti di lettura

MANTOVA. Gli insetti, il baobab, il noni (un frutto tropicale dall’odore non piacevolissimo ma dalle mille buone proprietà): l’elenco dei novel food (ossia: nuovi alimenti) è lungo e vario, e questi sono soltanto pochi esempi. Di alcuni di loro si è occupata di recente l’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare), chiamata a esprimersi sulla sicurezza per l’alimentazione umana: tra i pareri anche il primo via libera (poi, però, dovranno dire la loro anche la Commissione Ue e i singoli Stati) a un alimento a base di insetti, le tarme della farina.

E di novel food si occupa Beatrice Cortesi, 25 anni, che all’università di Wagewingen, nei Paesi Bassi, considerata una delle più importanti al mondo per le scienze agrarie e frequentata da alunni di oltre cento Paesi, si sta per laureare in Politiche agroalimentari. La voce squillante di Beatrice arriva proprio a pochi giorni dalla decisione dell’Efsa, che sta valutando altre richieste di insetti come alimenti: almeno una decina. «Sto scrivendo la tesi magistrale - racconta - e dovrei laurearmi nella sessione di aprile. Sto seguendo un programma di doppia laurea con l’università Cattolica di Cremona. E per la tesi sto analizzando le politiche europee dei novel food, che per definizione sono tutti i cibi non consumati prima del 1997. Io studio come si sono evolute queste politiche, che impatto hanno avuto. Con la prima direttiva, il processo era così lungo che le aziende non erano incentivate a sviluppare nuove tecniche e a fare ricerche su alcuni alimenti. La politica attuale (il nuovo regolamento è entrato in vigore nel 2018, ndr) prevede un processo di autorizzazione più breve, che dovrebbe promuovere l’innovazione».

Gli insetti sono soltanto una piccola parte di questi nuovi cibi, ma sono quelli che destano più curiosità. «Li ho mangiati tante volte fuori dall’Europa - continua Beatrice - e credo che, se saranno approvati a livello europeo, nel breve periodo saranno di nicchia, ma poi le persone cominceranno ad accettarli. Il fondamento scientifico è cercare di produrre proteine e cibi sani con alti livelli nutrizionali ma un basso impatto ambientale». Beatrice Cortesi è figlia d’arte. Alberto Cortesi è il presidente di Confagricoltura, e nella sua azienda agricola a Roncoferraro produce il latte per il Grana Padano. Proteine e alti livelli nutrizionali c’entrano anche in questo caso, ma le innovazioni, pur massicce, si fermano ai campi e alla stalla: per i metodi di lavorazione bisogna andare bene indietro nei secoli.

L’azienda di famiglia ha, comunque, pesato nella scelta dell’università: «L’influenza di casa c’è stata soprattutto quando, dopo il liceo di Scienze sociali all’Isabella d’Este, ho scelto la triennale in Scienze e tecnologie agrarie. Poi il corso mi è piaciuto e ho proseguito anche con la magistrale». Difficile comparare l’agricoltura olandese e quella italiana: «È completamente diversa. Ci sono tante aziende, molto piccole rispetto alla media italiana. E questo dipende anche da tutta una serie di leggi che limitano il numero dei capi negli allevamenti».

L’innovazione è molto comune: «La prima volta che sono stata in Olanda, durante uno stage ho avuto modo di visitare diverse aziende, e ho notato che anche i piccoli allevamenti hanno sistemi innovativi. Ci sono molta curiosità e apertura verso le nuove tecnologie». C’è un’altra cosa che Beatrice vorrebbe vedere anche in Italia: «I rapporti con le università in generale sono molto stretti. Qui gli atenei riuniscono persone da tutto il mondo e c’è tanta collaborazione con le aziende. Questo stimola la ricerca, e poi le cose vengono provate sul campo: c’è un rapporto mutualistico».

Sul fronte dell’offerta di prodotti agricoli, sembra non manchi proprio nulla: «Con le coltivazioni in serra riescono a produrre qualsiasi cose. Nella parte occidentale del Paese ce ne sono così tante che di notte, anche da lontano, si vede l’inquinamento della luce: una grande nube arancione. E mediamente i prodotti sono buoni. Ovviamente più cari».

Come quelli italiani? «Forse i pomodori italiani sono più saporiti, ma la qualità c’è».

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