Capisani: «Creare è un piacere necessario». A Moglia nell’atelier dell’artista-collezionista
Il fondatore della Pinacoteca di Quistello negli anni ha raccolto anche 10 mila incisioni a stampa, dal Cinquecento alla contemporaneità
Paola Cortese
MOGLIA. Una terra segnata dal terremoto, quella di Moglia, un evento traumatico che, dal 2012, ha lasciato tracce anche nell'arte. La poetica di Ferdinando Capisani, da sempre legata alla natura, all'ambiente e alle tematiche ecologiste, ha dovuto fare i conti anche con queste ferite prima che con quelle inferte dal Covid. «Quando c'è stata la scossa più forte ero alla Pinacoteca di Quistello che ho fondato nel 1983, avevamo da pochi giorni inaugurato una mostra e siamo dovuti scappare tutti – racconta -. Poi il Comune a traslocato in quei locali e così non si è più potuto fare molto».
Ferdinando Capisani, classe 1947, formazione accademica a Modena, oltre ad essere artista è collezionista, con qualcosa come 10 mila incisioni a stampa, dal Cinquecento alla contemporaneità, tutte catalogate, e ha al proprio attivo oltre cento mostre organizzate, tra la Pinacoteca di Quistello, il Museo Gorni di Nuvolato e a Gonzaga dove presiede la mostra mercato dell'antiquariato “C'era una volta”.
«La testa va più forte della mano, lo diceva Leonardo da Vinci, nulla in confronto ma vale anche per me – dice Capisani, a lungo anche docente -. Siamo arrivati ad una crisi profonda dell'arte».
Lo studio di Capisani, nello stesso edificio in cui vive, è ampio e articolato. Al piano terra, affacciato sul cortile, c'è una sorta di magazzino oltre alla vastissima biblioteca, trasferita al pian terra proprio dopo il terremoto, e un altro locale dove si trova il torchio per le stampe. Sotto al tetto, in una sorta di ampio monolocale, si trova infine lo spazio del pensiero, il luogo della creatività.
«Concetto, progetto, oggetto: questi sono i tre pensieri che ho sempre nella testa – dice -.Lavoro praticamente tutto il giorno e, soprattutto, la sera, fino a tardi, nel silenzio, solo qualche volta ascolto la musica. La maggior parte dei miei progetti artistici, oggi, restano files nel computer perché è difficile trovare la sostenibilità per realizzarli. Lo scorso anno ho creato una serie di interventi sugli alberi feriti, poi fotografati, che ho chiamato “Cancer”. Li ho avvolti con una sorta di sudario in materiale plastico, che uso molto, per toglierlo dall'ambiente che ha invaso modificandolo. Ormai si opera perché se ne ha necessità. Fare arte è un piacere, necessario».
Partito da un’impostazione accademica, legata alla figurazione, Capisani si è mosso da sempre, fin dal 1966, in un ambito sperimentale, che non ha trascurato la fotografia, rimanendo comunque sempre legato, anche se in chiave geometrica o organica, all'elemento e alla mimesi naturalistica. «L'albero per me non è solo bellezza ma può essere anche denuncia – continua -. Un ultimo ciclo cui ho lavorato nel periodo del covid è stato ispirato dal paesaggio, mutato a causa dell'uomo che non entra mai nel mio lavoro. Sono 12 mosaici, uno per ogni mese dell'anno, realizzati con tecniche diverse. E' un progetto che ho ideato dopo i disastri apportati dal terremoto».
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