Al museo Archeologico in mostra le tracce della “città nascosta”
Il 9 aprile, compatibilmente con l’emergenza Covid, aprirà la rassegna espositiva . Protagonisti i reperti emersi dai nuovi scavi in via Rubens e in zona Gradaro-Fiera
GILBERTO SCUDERI
MANTOVA. Il sottosuolo di Mantova continua a riservare sorprese e a svelare la sua storia più antica. Il 9 aprile, compatibilmente con le restrizioni legate all’emergenza sanitaria, aprirà la mostra La città nascosta. Archeologia urbana a Mantova che chiuderà il 6 gennaio dell’anno prossimo.
Curata da Mari Hirose e Leonardo Lamanna, la mostra - nata dalla collaborazione tra Palazzo Ducale e Sovrintendenza archeologia, belle arti e paesaggio - sarà allestita al secondo piano del Museo Archeologico Nazionale (ingresso dal numero 27 di piazza Sordello) per fare conoscere al pubblico i risultati delle scoperte più recenti.
«Ho pensato a una collaborazione con la Soprintendenza - dice Stefano L’Occaso, direttore del Ducale - perché a essa è affidata la tutela negli scavi che procedono in città e in provincia e, dunque, con essa si può impostare un progetto che ha una duplice valenza: rendere il Museo Archeologico una realtà viva e in evoluzione, perché strettamente legata alle attività di scavo, e offrire una vetrina alla Soprintendenza e alla sua attività sul territorio».
Pare proprio che il pantano che la città aveva da tutte le parti sia molto più antico di quanto immaginava Dante nell’Inferno. Prima della leggenda dell’indovina Manto e di suo figlio Ocno, e diversi secoli prima che arrivassero gli etruschi, nell’area di Gradaro-Fiera Catena c’era un insediamento dove verso la fine dell’età del bronzo i nostri progenitori conducevano vita non sappiamo se felice o grama: dopo averci studiato sopra, gli archeologi e gli storici potranno dire qualcosa a riguardo.
I primi residenti di Mantova (che ancora non si chiamava così) avevano comunque il necessario per sbarcare il lunario. Particolarmente fortunato è stato il rinvenimento di due grandi dolii (il dolium è un vaso di terracotta, tipo giara) usati per contenere granaglie e altre riserve alimentari, conservati sotto il pavimento di una capanna, che sono stati prelevati e sottoposti a restauro.
Lo scavo, diretto dalla Sovrintendenza nell’ambito del progetto di riqualificazione Mantova Hub promosso dal Comune, ha riportato alla luce le tracce del più antico agglomerato della nostra città, che ha restituito reperti di 32 secoli fa, più o meno, oltre che del periodo dal 1400 al 1600 circa, tra Rinascimento e Controriforma con probabile aggiunta della peste alla Manzoni e con in mezzo la scoperta dell’America.
Sono state infatti trovate delle ceramiche decorate e oggetti di uso quotidiano di epoca gonzaghesca, tra cui le prime pipe diffuse dopo l’arrivo del tabacco, che ancora non si sapeva nuocesse alla salute. Pipe che immaginiamo copiate o adattate sul modello dei calumet della pace degli indiani americani, ma con design made in Italy.
Allo scavo del Gradaro-Fiera si somma quello del cantiere di via Rubens-case dei canonici di Santa Barbara, condotto nell’ambito del restauro deciso dalla Curia, da cui sono emersi resti databili dall’età etrusca al medioevo.
In particolare le tracce di un quartiere etrusco con abitazioni e una fornace per la produzione della ceramica, e una domus romana con un elegante pavimento a mosaico decorato con delicate foglie di vite. Nel 2012 all’interno di un edificio ottagonale tardoantico, ipoteticamente un battistero, poi riutilizzato come luogo di sepoltura dall’élite longobarda, venne ritrovata la tomba di un bambino con un ricchissimo corredo, già parte dell’allestimento permanente del Museo Archeologico: sarà ripresentata alla luce delle più recenti analisi.
Infine, nello stesso cantiere, sono stati scavati due cimiteri medievali, pertinenti in via d’ipotesi alle chiese di Sant’Alessandro e dei Santi Cosma e Damiano, entrambe abbattute per fare spazio alla canonica di Santa Barbara, fabbricata nel 1587.
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