Una vita passata tra incudine e martello: cosa vuol dire essere un fabbro nel 2021
Nato da una famiglia di agricoltori, ha scelto di imparare il mestiere del fabbro: «Ma ora è un’arte costosa». «Oggi la fucina non c’è più, si usano le bombole di propano e ossigeno: il resto è rimasto come un tempo»
Luca Cremonesi
CASTEL GOFFREDO. Quarant’anni di attività in proprio, ai quali si sommano quelli di apprendistato che hanno visto Luigi Ogliosi di Castel Goffredo, nato nel 1958, lavorare la mattina in una fabbrica del territorio, «mentre la sera, i sabato e le domeniche, con la mia attrezzatura, facevo alcuni lavoretti che mi permettevano di fare quello che volevo fare: lavorare il ferro».
Comincia così il racconto di un artigiano depositario di un’antica arte, quella del fabbro che batte il ferro. L’incudine e il martello, a cui si aggiunge la fucina che è stata spenta però ad inizio 2000, sono ancora lì, in bella mostra in Strada Dovara, a Castel Goffredo. «E li utilizzo ancora», spiega Luigi mentre siede nella ditta individuale che, fino al 2017, ha gestito con la moglie. «Lei teneva i conti, ma lavorava anche qui. Ci sono le fotografie. Quando aveva finito con la contabilità non si tirava indietro e veniva qui con me. Ora c’è mio figlio, Stefano, che porta avanti il lavoro ed è il futuro di questa attività».
Una vita passata tra incudine e martello: l'arte del fabbro nel 2021
Chi ci ha mandati qui ce lo aveva detto: «Ha una piccola ditta, ma lui è ancora un fabbro che fa i lavori come una volta».
La soffiata è del sindaco Achille Prignaca perché Ogliosi, da qualche anno, ha trovato tempo per sedere in consiglio comunale. «Ma qui c’è la mia vita, la mia passione. Ho imparato da uno che batteva il ferro e ancora oggi, come è accaduto alcune settimane fa, lavoriamo in quel modo i cancelli. Certo, oggi i costi sono elevati per un prodotto fatto alla vecchia maniera, ma nel mondo dei privati c’è ancora chi vuole un prodotto unico, su misura e diverso. E così vengono qua, sia per farli sia per ripararli. Volete vedere come si fa?».
Siamo qui per questo per vedere l’antica arte che da Efesto ad oggi è fatta con pochi strumenti: incudine, martello e fuoco. «Oggi la fucina non c’è più, si usano le bombole di propano e ossigeno. Con la fiamma si scalda il ferro. Ora vi faccio vedere».
Si muove veloce, segno che questa è la sua vita, il suo fare. Prende una lancia, nella quale di sono due fori. «Si mettono le due lastre e poi il ribattino. Una volta posizionato tutto sull’incudine si scalda il ribattino con la fiamma e si martella». Luigi stringe in una mano il grande martello, nell’altra il pezzo di ferro che serve per schiacciare il ribattino, un tondino deformato dai colpi, come fosse burro squagliato al sole.
«A forza di martellarci sopra è diventato così da una parte, mentre dall’altra c’è il foro dove si posiziona il ribattino per fissarlo», spiega Luigi. A vederlo non ci si crede che questi tre pezzi potranno stare insieme in modo stabile, fermo, senza difetti. Stefano scalda il ribattino e Luigi assesta tre colpi sicuri, con forza, al tondino. Non serve altro. Ora fascette e lancia di ferro sono unite e non si possono più separare.
«In questo modo facciamo cancelli di tutti le misure, inferriate e ringhiere. Ne abbiamo fatte in passato, anche lunghe, oltre 200 metri. Ho avuto la fortuna di lavorare in un paese dove ho trovato, e ho tutt’ora, clienti che sono affezionati e che mi hanno fatto crescere. Devo molto a loro e alla fiducia che mi hanno sempre concesso», ricorda Luigi. Che aggiunge: «Oggi le cose sono cambiate. C’è molta produzione industriale e un lavoro come questo, con il ferro battuto, è troppo costoso per i più. Inoltre ci sono le certificazioni, indispensabili. Noi le abbiamo, ma si è deciso anche di diversificare. Con mio figlio portiamo avanti un’attività che è la mia vita, che mi ha dato tante soddisfazioni e di cui sono orgoglioso. Vengo da una famiglia di agricoltori, ma io ho sempre desiderato fare l’artigiano e questa è stata la mia vita. Mi piaceva lavorare in fabbrica, ma io volevo fare l’artigiano, lavorare con le mani, creare oggetti con il ferro. Ci sono riuscito. Alcuni anni fa, dopo oltre 40 di attività, e dopo aver battuto il ferro per decenni, ho dovuto fare l’esame di saldatura per avere alcune certificazioni».
E ancora: «Ho sostenuto la prova insieme a mio figlio. Siamo stati promossi e oggi, in mezzo alle molte difficoltà - dalla troppa burocrazia alla crisi che stiamo vivendo - sono ancora qua perché mi piace questo lavoro e mi ha sempre dato grandi soddisfazioni».
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