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Casa del Mantegna centro di produzione di arte contemporanea: «Alziamo il livello»

Paolo Cavinato: non sia più solo lo spazio per i pittori locali. «Servono un comitato scientifico e un curatore»

Enrico Comaschi
4 minuti di lettura

MANTOVA. Un centro di produzione culturale ed artistica aperto al mondo, indirizzato da un comitato scientifico per evitare che uno spazio straordinario sia utilizzato per mostre di basso profilo. È Paolo Cavinato, artista mantovano di rilievo internazionale, ad alzare il tiro sul futuro della Casa del Mantegna sulle tracce di un dibattito che si è riacceso negli ultimi giorni.

«Mi sembra un gesto di responsabilità intervenire in questa discussione. Io sono un artista, uno scultore. Ho vissuto e lavorato all’estero per diversi anni, facendo esperienze anche in spazi istituzionali importanti. E ho visto come funziona. Ogni volta che tornavo in Italia vedevo sempre la stessa situazione: spazi con potenziali incredibili che non vengono sfruttati per mancanza di conoscenza e perché non c’è la capacità di pensare ad un utilizzo appropriato».

Cavinato, come valuta lo spazio della Casa del Mantegna?

«Ha una grandissima forza, un potere evocativo: il cerchio inscritto nel quadrato ti apre la testa. È interessante. Leggendo le due idee contrapposte, con Pedrazzoli che vorrebbe farne un museo di artisti locali del ‘900 e contemporanei, e l’altra che vorrebbe un museo dedicato a Mantegna, io sono molto in dubbio. Io vedo una terza possibilità: uno spazio di creazione e proposizione. Uno spazio dinamico. Per fare un museo, l’interno è troppo piccolo, all’opposto per farne un museo didattico non va bene. Se vuoi studiare Mantegna hai la Camera degli sposi: il suo genio è già espresso lì. Sarebbe l’ennesimo spazio didascalico dedicato ad un artista rinascimentale».

L’attuale gestione non sembra affatto entusiasmarla...

«Sono cresciuto con mostre bellissime alla Casa del Mantegna, ma da circa vent’anni tutto è precipitato. Prima c’era uno sguardo più aperto verso l’esterno, ora c’è un gruppo di artisti locali: è come ritrovarsi a guardare il proprio ombelico. Io vedo più uno spazio di scambio dedicato ai linguaggi dell’arte».

Può entrare più nel dettaglio della sua proposta?

«La struttura è adatta a progetti espositivi, conferenze a tema. Ed è adatta allo scambio di residenze per dare la possibilità ad artisti non mantovani stare per un periodo in una stanza e creare un’opera che può anche essere ispirata dall’opera di Mantegna. Può essere un luogo di creazione e ispirazione, di produzione culturale. Certo, con un progetto del genere ci deve essere un curatore che non stia lì per sempre, così come succede in tutte le istituzioni internazionali. A Copenaghen, dove ho vissuto e lavorato, ci sono curatori e comitati scientifici. Ovviamente ci vorrebbe un comitato di un certo livello, ma non so se qui esistono le risorse umane per crearlo. Perché non c’è un nucleo forte di artisti che abbiano avuto esperienze fuori da Mantova. Dovrebbero metterci una persona con esperienze di alto livello all’estero».

Attualmente la Casa del Mantegna è usata come museo-galleria.

«Il mio dubbio, se faranno un museo come intende Pedrazzoli, è semplice. La Casa del Mantegna diventerebbe un mausoleo degli artisti locali e non servirebbe a nessuno se non agli stessi artisti: aggiungo che negli ultimi anni la Casa è stata proprio questo. Mi fa specie, poi, che lo spazio non sia presente sui social network. Bisogna cercare un contatto con le giovani generazioni: qui invece ci sono i soliti anziani. Altrove sì che ci sono artisti giovani: la differenza è impressionante, perché si crea dinamismo. Anche per questo la casa del Mantegna dovrebbe essere uno spazio trasversale. Si crea interesse coinvolgendo le persone: l’arte contemporanea è un po’ elitaria, ma qui non ho visto coinvolgimento. E poi bisogna vincere questo meccanismo mantovano delle fazioni sull’arte».

Secondo lei l’arte contemporanea può dialogare con uno spazio storico come la Casa del Mantegna?

«Ho fatto progetti espositivi e installazioni in spazi molto diversi e al Ducale, ricevendo complimenti anche dai “conservatori”. Il progetto deve tener conto delle caratteristiche del luogo, che ha una sua aura che andrebbe rispettata. Ma purtroppo, come spesso accade, vediamo installazioni o mostre in situazioni completamente estranee. L’arte contemporanea andrebbe contestualizzata, serve ricerca. Ci sono luoghi con una loro potenza, e io credo alla possibilità del progetto fatto specificamente per un posto».

Non si arriva lontano, però, con l’attuale assetto decisionale.

«Servono un comitato scientifico e un curatore: un gruppo di persone di alto livello che valuti e selezioni i progetti. La Casa del Mantegna ha un potere incredibile rispetto a tanti altri luoghi. Ha un impianto architettonico simbolico e forte, con simbologie che aprono la mente. Per un artista è uno spazio interessante. Dispiace che ci si debba infervorare per far passare il semplice concetto della competenza. All’estero sarebbe ovvio: un gruppo di intellettuali si mette al lavoro per fare qualcosa di importante. Il problema è che qui l’arte contemporanea è vista sempre malissimo».

Un tentativo di qualità per un nuovo approccio all’arte contemporanea era stato fatto con l’allora assessore alla cultura del Comune, Marco Tonelli.

«Mi fa molto piacere che lei abbia fatto il nome di Tonelli, perché se metti uno come lui a curare un calendario di mostre e di eventi ti fa un bellissimo lavoro. Perché non basta la buona volontà. Abbiamo avuto l’esempio di altri interventi discutibili: Peter Assmann al Ducale ha fatto cose apprezzabili, ma anche cose discutibili, troppe direi».

Senza dimenticare che, al di là di un comitato scientifico, l’arte è condivisione.

«La mia idea per la Casa del Mantegna è questa: un luogo in cui si creano e si promuovono la cultura e lo scambio tra le persone. Tra l’altro non è un museo dove ci sono affreschi; a parte l’impianto architettonico, è uno spazio per così dire neutro. Ed è stato per decenni uno spazio espositivo, dunque la tradizione della mostra c’è. Ci vorrebbe solo, si fa per dire, la disponibilità a cambiare completamente la gestione».

Mi sembra già di sentire le proteste di chi difende l’arte mantovana...

«Se la Casa del Mantegna fosse data in mano ad un comitato scientifico di alto livello per creare eventi con artisti da fuori, i mantovani ne trarrebbero vantaggio. E poi, vede, non ha senso fare un museo per i mantovani: ha senso dar vita ad uno spazio aperto alla discussione, un spazio di incontro fruibile anche dagli artisti mantovani. Uno spazio che ospiti anche, che ne so, dibattiti su filosofia e psicologia: organizzi la mostra sui quaderni di Jung e poi un ciclo di incontri. La verità è che all’estero c’è l’entusiasmo della gente comune per i laboratori: se funziona, uno spazio così crea tanta energia. Ma se pensiamo di usare la Casa del Mantegna per far esporre gli acquerellisti locali, allora la trasformiamo in uno spazio morto».


 

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